AURI – Auri

by Margot Furlanis

Quello che mi è capitato tra le mani è sicuramente uno dei più interessanti album ascoltati da diverso tempo in ambito non-metal, ovviamente. Perché oggi non parliamo di metal, ma del nuovo progetto rock Auri, partorito dall’unione delle menti di Johanna Kurkela, Tuomas Holopainen e Troy Donockley.
Amici di lunga data, nel 2011 era nata l’idea di costruire qualcosa assieme ma gli impegni dei Nightwish erano numerosi, a cui si accavallavano anche quelli del progetto solista della Kurkela.

Fino ad oggi, però. Con la pausa di un anno dei pilastri del symphonic metal – dovuta un po’ alla maternità della Jansen, un po’ alla mancanza di ispirazione di Holopainen dopo la pubblicazione del capolavoro “The Greatest Show in Earth” (ndr. brano tratto dall’ultimo album “Endless Forms Most Beautiful” uscito nel 2015) – hanno avuto la possibilità di riunirsi e creare quello che sarà un vero capolavoro.
Quindi mettetevi pure comodi, sdraiatevi a letto o rilassatevi sulla scomoda poltrona di un treno; alzate il volume delle cuffiette e lasciatevi trasportare dai prossimi undici brani degli Auri, perché le mie parole non saranno sicuramente sufficienti a descriverne le emozioni.
Tamburi tribali e suoni elettronici, un ritornello orecchiabile e una marcata influenza celtica, il tutto cullato dall’angelica voce di Johanna Kurkela. Si tratta del secondo singolo “The Space Between”, brano che apre le porte al full-length indirizzandoci su quello che ci aspetterà in seguito.
Ed è con “I Hope Your World is Kind” che si procede alternando tonalità maggiori e minori, chitarra acustica, violini e pianoforte, fino ad arrivare all’apice dove si viene teletrasportati in un mondo nuovo, come su un film di fantasia nello stile di “Avatar”.
Cambio di rotta per “Skeleton Tree”, con ritmi più orientali ma pur sempre rimanendo con le radici piantate nel suolo celtico. Si tratta di un brano molto vivace e pieno di sorprese, con l’introduzione di strumenti come la cornamusa e l’organo.

Il successivo cambio di mood ci spalanca le porte a qualcosa di un po’ più classico; “Desert Flower” è una malinconica e romantica ballata, contraddistinta dall’alternarsi di voce maschile e femminile, il tutto accompagnato da semplici accordi di chitarra acustica e di violini in sottofondo. Un bellissimo assolo di violino ci accompagna verso le ultime note di questa magica e nostalgica canzone.
Una nota influenza di canti tradizionali già sentiti da qualche parte, con un incombente crescendo, caratterizza il primo singolo “Night 13”, seguito poi da un altro cambio di rotta però, che ci culla in territori arabeggianti, con “See” che riesce decisamente a farci ‘vedere’ luoghi lontani mai ancora visitati.
The Name of the Wind” racchiude intere influenze di musica cinematografica/colonna sonora. Difatti, si tratta dell’unico brano dell’intero album a non avere parole, perché di certo non necessarie, soprattutto per quello che ci viene proposto successivamente.
Aphrodite Rising”: si tratta probabilmente del mio brano preferito. Anche qui vi è un forte impatto cinematografico, con l’unione della voce della Kurkela, il violino, i tamburi, il pianoforte e la scelta azzeccata dei cori – che trovo diano sempre un forte impatto maestoso ed epico.
Anche questa volta gli Auri non vogliono dare nulla per scontato. “Savant” prende piede con toni inquietanti e ansiosi, facendoci dimenticare il canto di Afrodite che era riuscito a cullarci in sonni profondi.
La malinconica “Underthing Solstice” ci accompagna verso la fine del viaggio, in “Them Thar Chanterelles (feat Liquor in the Well)”. Quest’ultimo è forse il brano che inizialmente sono riuscita ben poco ad apprezzare, ma un cambio radicale di tempo e ritmo lo ha salvato, dando una giusta conclusione all’album che verso la fine si era inoltrato in territori molto bui.

In conclusione di questo non molto lungo viaggio (purtroppo) vediamo dunque la fine, la luce, che ci lascia anche un po’ di amaro in bocca.
La voglia di ascoltare di più è veramente forte, ma come citato dallo stesso Holopainen, si tratta di un viaggio come dentro la tana del coniglio in “Alice nel Paese delle Meraviglie”: ci siamo inoltrati in essa, abbiamo vissuto fantastiche avventure e poi siamo risaliti alla luce di un sole caldo di primavera.
Quello che sono riusciti a creare gli Auri con questo album è qualcosa di davvero incredibile. Un sogno ad occhi aperti, e speriamo non sia l’ultimo.

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