MÅNESKIN – Teatro d’ira – VOL .I

by Federico Siccardo

Sicuramente uno dei gruppi più discussi in Italia degli ultimi anni ma soprattutto degli ultimi mesi, i Måneskin dopo aver riscontrato un rispettabilie seguito con i primi lavori (il cover EP “Chosen” del 2017 e il primo album di inediti “Il Ballo della Vita” dell’anno seguente), approdano e aggrediscono questo 2021 iniziato non troppo per il verso giusto con un disco che, con il sorriso sulle labbra, si può essere contenti di definire hard rock italiano.
Come ogni buon popolo brontolone che si rispetti, nelle file dei rockettari italiani non si è mai persa l’occasione di sostenere numerosi quanto futili dibattiti su quanto il gruppo romano possa essere a tutti gli effetti una band dalle attitudini rock che suona musica rock. Discussioni vorticose in cui inevitabilmente i Måneskin sono stati risucchiati.

Entrare nelle grazie di chi ha prevalentemente concezioni e gusti musicali tradizionalisti non è facile e non lo è mai stato, si pensi al fenomeno grunge e nu metal degli anni ’90, dove la concezione di nuove correnti artistiche venivano ingiustamente giudicate ai limiti dell’eresia. Come se non bastasse, non tendono ad essere ben accolte dai palati fini nanche le nuove giovani promesse che ripropongono sounds vincenti e appartenenti al passato, basti pensare alle polemiche di qualche anno fa con il successo dei “troppo simili ai Led Zeppelin” Greta Van Fleet, surclassati da ogni stimatore di Page e co.

Insomma, fare musica rock nei nuovi anni ’20 non è cosa banale ed è proprio questa la sfida dei Måneskin e del loro “Teatro d’ira – Vol. I”, d’altronde come dice il buon Michele Salvemini, in arte Caparezza (che di rock ne sa): “il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista”.

Non voglio soffermarmi a questionare sulla partecipazione di festival dal dubbio gusto e dalla dubbia credibilità, se non esprimere la speranza che, raggiungendo le case di tutti gli italiani, l’energico singolo d’apertura “Zitti e Buoni” possa suscitare un nuovo interesse verso la musica suonata, nella sua completezza. Il brano infatti, presenta una prestazione decisamente più matura rispetto ai precedenti lavori da parte di ogni componente; il basso galoppante di Victoria De Angelis accompagna i riff taglienti di Thomas Raggi in supporto alle ottime percussioni di Ethan Torchio, il tutto completato da un Damiano David che trasmuta la sua voce in una serie di scariche elettriche, soprattutto durante il refrain difficilmente dimenticabile.
Di minore impatto invece è “Coraline”, ballad che passa piuttosto inosservata complice del fatto che, nella traccia successiva, troviamo Lividi sui Gomiti”, un altro brano sulla stessa linea rabbiosa e ruggente della opener che, nonostante la sua breve durata, riesce a strizzare l’occhio a diverse correnti artistiche riunendole in un’unica esplosione vigorosa.
I Wanna Be Your Slave” è il primo dei due brani cantati in inglese dell’album, dove permane una certa egemonia pop, un pattern entro cui la band disegna fantasie strumentali squisitamente rock e perfettamente coerenti ed efficaci.
“In Nome del Padre” non decellera il ritmo, l’espressione di un linguaggio leggermente più scurrile e furente quasi destabilizza al primo ascolto ma non è assolutamente da considerarsi una nota negativa.
La seconda ed ultima traccia inglese è “For Your Love”, un brano sorprendentemente anni ’70 che ricorda giusto i Greta Van Fleet citati poc’anzi (pardon, avrei forse dovuto scrivere “Led Zeppelin”), senza macchie e privo di virtuosismi fini a sé stessi.
Purtroppo sul finale non si salta dalla sedia come ci si poteva aspettare giunti a questo punto; tornando alla lingua madre, “La Paura Del Buio” risulta sì essere valida senza però incidere eccessivamente, mentre “Vent’anni” nonostante la parte strumentale sia di buona intuizione, chiude in maniera forse troppo cascante un disco che, tuttavia, merita di essere considerato con più indulgenza dallo scenario rock italiano.

“Teatro d’Ira – Vol I” forse non è da considerarsi un vero e proprio “secondo album”, sia per la sua durata fin troppo breve, sia per il fatto che, come suggerisce il titolo, dovrebbe essere solo una parte di uno o più seguiti. Nonostante tutto la sfida è superata, il disco può considerarsi un prodotto valido, l’ispirazione c’è, i testi ci sono e l’energia strumentale pure. Loro sono i Måneskin e, che vi piaccia o no, questo è rock.

Tracklist:
1 – Zitti e Buoni
2 – Coraline
3 – Lividi sui Gomiti
4 – I Wanna Be Your Slave
5 – In Nome del Padre
6 – For Your Love
7 – La Paura del Buio
8 – Vent’anni

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