JOHN, THE VOID – II

by Sara Tracogna

Quando si approccia il concetto di distopia, è inevitabile pensare a forme artistiche ben più fisiche della musica. Letteratura, cinema e arti figurative appaiono come le strategie più congrue per dare corpo ai sogni – spesso, incubi – su mondi futuri. La ‘settima arte’ esprime con potenza questi universi, da classici senza tempo come Blade Runner e Metropolis a recenti animazioni, si vedano Ghost in the Shell e Neon Genesis Evangelion. Eppure anche la per se impalpabile musica, se lo spessore non manca, può trasportare nel vivo di immaginifiche apocalissi. La distopia così si è fatta carne, o meglio post metal: Isis e Cult of Luna ne hanno dato esempi brillanti (di una luce tutta opaca e artificiale, s’intende). Non c’è mai abbastanza da dire sull’argomento e quando ci imbattiamo in artisti validi come i nostrani John, the Void è il caso di sospirare ‘per fortuna’.

Il sestetto del nordest è al primo full length; esso segue a due anni di distanza un EP, a cui si riaggancia (già a partire dalla scelta del nome, un lapidario II) e di cui continua lo sviluppo concettuale. I cinque corposi brani, infatti, narrano la vicenda di John Void e del mondo alienato in cui vive, fatto di macchine e di paure ancestrali. Le sonorità claustrofobiche intrappolano l’ascoltatore, guidandolo attraverso gli angosciosi sentieri che il protagonista percorre. Ci sono le usuali dosi di violenza ed atmosfera nell’omonima John Void e in Enter; nella scelta dei riff e nei suoni, insieme ai succitati Maestri, si sentono echeggiare Neurosis e Amenra. Potenti vengono sparate iniezioni di doom e sludge purissimi, mentre le vene elettroniche sono distribuite con cura attraverso incursioni drone, industrial, qualche piccolo eccesso à la power electronics: ce le gustiamo tutte nel semi-intermezzo Obscurae Terrae e in Neon Forest, sapientemente amalgamate con scream e chitarre. Il ciclo non si chiude, ma si riforma tramite la conclusiva Season, in cui la circolare disperazione riprende tragicamente il via.

Il post metal ha saputo incarnare ancora una volta l’alienazione: i Nostri hanno posto un marchio di ottima fattura, che non li fa sfigurare accanto ai nomi a cui sono stati accostati. Cinematografici al punto giusto, ci fanno venir voglia di un sequel sulle avventure del nostro nuovo eroe. Bravi.

 

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