FADING BLISS – Journeys In Solitude

by Jacopo Silvestri

Cinque anni dopo aver pubblicato il loro primo album, “From Illusion to Despair”, I Fading Bliss tornano con “Journeys In Solitude“, album diviso in quattro lunghe composizioni, per un ascolto dalla durata totale di quasi 47 minuti.

Per immaginare lo scenario nel quale si verrà trasportati è necessario solo il titolo della produzione.
Siete da soli, in un pomeriggio d’autunno grigio e cupo, mentre camminate lungo un sentiero di collina, lontani da persone, macchine ed edifici, state passando una giornata difficile, molto stressante, e per staccare la spina da ciò che vi circonda avete deciso di allontanarvi da tutto e da tutti: attorno a voi soltanto il cinguettio di qualche uccello e il rumore delle foglie secche calpestate dai vostri passi.
Immedesimandosi totalmente nell’ascolto, per quanto possa essere possibile, ci si sente in una situazione simile, mentre si fa viaggiare la mente tra pensieri più malinconici, concentrati sulla solitudine e sulla desolazione, e altri più riflessivi, che vanno alla scoperta di sé stessi.

Musicalmente parlando, i Nostri propongono un Doom Metal con notevoli influenze Gothic, il quale prende chiaramente spunto dai gruppi classici del genere, quali My Dying Bride, Paradise Lost e anche Katatonia, in certi passaggi.
Ocean“, posta in apertura, presenta la formazione, e ciò che risalta subito è come ogni membro del settetto riesca a dire la sua, a partire dalla voce in growl che si combina molto bene con l’affascinante voce femminile, mentre le due chitarre vanno a condire il tutto con riff decadenti, seguiti talvolta dalle tastiere, che aggiungono un tocco più atmosferico, e infine dal reparto ritmico, con basso e batteria che uniformano il tutto.
Mentre l’opener è una buona partenza del disco, la seguente “Mountain” cala di livello: il brano in sé si fa ascoltare, ma non coinvolge particolarmente e negli ultimi minuti comincia anche ad annoiare.
Già più interessante “A Forest“, cover dei celebri The Cure, dove la band belga ripropone il pezzo degli inglesi in una versione molto più allungata, intensa, a tratti aggressiva ed elegante in altri momenti.
La conclusiva “Desert” si contraddistingue per essere il brano più lungo del complesso, con la sua durata di oltre sedici minuti, e per l’aria particolarmente evocativa che va a creare, soprattutto grazie al grande utilizzo della voce femminile e a certi frangenti in cui regna un’atmosfera a tratti quasi angosciante, come negli ultimi minuti.

“Journeys In Solitude” è un disco difficile da giudicare; sicuramente mostra il potenziale del gruppo, ma purtroppo non riesce a convincere molto, diventando alla lunga una di quelle produzioni che si sentono volentieri ma col tempo vengono progressivamente dimenticate.
Sufficienza meritata per i Fading Bliss, ma poco più, con la speranza che in futuro sappiamo convincere di più viste le capacità a disposizione.

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