BEGGAR – Compelled to Repeat

by Jacopo Silvestri

Buio totale. Si può evincere già dall’artwork come lo scenario in cui ci trasporta questo lavoro sia regnato dall’oscurità, la quale ci avvolge in diversi modi, nascondendo molta varietà e non sempre una volontà maligna, non lasciandoci però alcuna speranza di uscita. Sludge Metal senza compromessi, rafforzato dalle varie influenze che si possono avvertire, che arriva diretto al punto e mostra chiaramente la sua capacità espressiva.
Dopo una carrellata di EP ben distribuiti nei primi otto anni di carriera, sono arrivati al traguardo del debutto gli inglesi Beggar. L’esperienza acquisita grazie alle precedenti produzioni si fa sentire in questo “Compelled to Repeat”, che si presenta subito come un lavoro con molto da dire e con la giusta attitudine.

L’opener “Blood Moon” ci dimostra subito la natura eterogenea del disco: il pezzo parte con una successione feroce di riff spaccaossa, per poi adagiarsi in una breve e quieta sessione centrale prima di riprendere con un assolo di chitarra piacevole, che porta alla luce delle influenze Doom. Nel finale esplode la grinta, con un’istantanea offensiva in pieno stile hardcore che con l’inizio della seguente “Anaesthete” svanirà immediatamente, facendosi rimpiazzare da delle sonorità notevolmente devote allo Stoner. Queste faranno un’apparizione saltuaria, in quanto nei momenti in cui sale in cattedra la voce si fanno sentire le fondamenta Sludge da cui sono partiti i Nostri per comporre questo album.
Già dalle prime due canzoni, quindi, è chiaro come i generi da cui prendono i britannici siano molteplici, e questo fattore molto delicato ha il grande pregio di riuscirsi a identificare come favorevole alla riuscita del lavoro. I pezzi si susseguono con molta naturalezza, variando le sensazioni che si possono percepire e le influenze da vari sottogeneri, ma non la sostanza, che si ricollega sempre all’oscurità citata in apertura. Si percepisce la malinconia, così come il tormento e la rabbia; le tenebre si fanno strada e ci avvolgono durante questo ascolto, rinchiudendoci in noi stessi. Pezzi come “Black Cloud” sono lenti, avvolgenti nella loro introspezione, mentre passaggi come “Tenantless the Graves” originano con la propria irruenza un irrefrenabile desiderio di sfogarsi del proprio rancore represso.

Troviamo raggruppate più densamente nella prima metà del lavoro le varie influenze esterne citate, mentre le parti più aggressive prendono generalmente il sopravvento nel finale. In ogni caso, l’impressione generata è tanto precisa quanto intrigante. Questo album di debutto ha seguito la strada dei precedenti EP, confermando la formazione londinese come una realtà con molto potenziale, la cui proposta è un connubio di vari stili ben equilibrato.

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