ALICE COOPER – Detroit Stories

by Daniele Esposito

Sono cinquanta gli anni di rock che l’artista di oggi porta sulle spalle; sapreste indovinare di chi sto parlando? Di Sir Alice Cooper, naturalmente!
Ancora una volta, il padrino dello shock rock dimostra a tutti che non è mai troppo tardi per creare, stupire e divertire con la propria musica, soprattutto se energia ed entusiasmo ne sono i carburanti principali.
In “Detroit Stories” gli intenti di Cooper sono chiari a partire da titolo ed artwork, entrambi un richiamo alla Detroit degli anni ’70, culla degli emarginati prodotti dall’industria rock dell’epoca, nonché patria delle rivoluzioni e delle emozioni forti, elementi che troveremo in abbondanza all’interno della pubblicazione targata earMUSIC.
Per onorare ulteriormente il concept dell’opera, Cooper fa affidamento ad un comparto di strumentisti rigorosamente “Detroit-made” (tra i quali lui stesso), eccezion fatta, ad essere precisi, dell’affermato bluesman Joe Bonamassa (nato ad Utica, New York).
Quest’ultimo fa la sua prima ed unica apparizione proprio in “Rock & Roll”, cover dei Velvet Undergound che mette subito in moto la spericolata giostra di questo disco.
La spiccata intesa musicale del duo Cooper-Bonamassa rende il primo dei quattro tributi proposti un ottimo punto di partenza per un viaggio che ha ancora molte sfaccettature da mostrare, come testimonia
“Go Man Go“, una toccata e fuga di due minuti dalle sfumature punk che fa da ponte a sua volta con un’altra cover, “Our Love Will Change The World” degli Outrageous Cherry, una divertente ed inaspettata variazione tematica dall’ottimo potenziale commerciale.
Detroit infatti, non si tinge soltanto di rock: Detroit è molto di più. A conferma di tale affermazione, il quintetto autoctono non di rado adotta soluzioni fuori dagli schemi, come in “$1000 High Heels Shoes” o “Drunk And In Love”, brani nei quali spiccano influenze rispettivamente funk e blues di ottima resa.
Facciamo un salto e passiamo a “Sister Anne”, un’altra cover, questa volta offerta in tributo ai Motor City 5, band con la quale lo stesso Cooper ha condiviso origini e palchi ai tempi che furono; qui il rock si mescola al country e ci fa sognare lunghi viaggi americani senza meta sotto il sole cocente, esperienze che il frontman del Michigan ha trasposto con successo in musica.
È degna di menzione l’unica power ballad (più power che ballad, a dire il vero), che troviamo in “Don’t Give Up”: orecchiabile, ma al contempo tetra e dissonante come un messaggio di speranza non più tanto verde.
L’album si avvicina alla chiusura con “Shut Up and Rock“, che come da titolo riversa sull’ascoltatore un’ondata di rock sfacciatamente provocatoria e old school, seguita da “East Side Story”, un omaggio a Bob Seger, nonché ultima delle quindici tracce del disco.
Diversamente dalle mie abitudini, ho scelto di non dilungarmi nell’analisi dei singoli brani. Ritengo che ogni approfondimento tecnico, a tal proposito, sia superfluo in quanto il rispetto dovuto ad artisti
di questo calibro va oltre qualunque giudizio io possa elargire. Quindi, tirando le somme, cosa ci portiamo a casa acquistando “Detroit Stories”?
L’album è un viaggio tra le vie e le anime traghettate per Detroit, è un intimo ricongiungimento di una leggenda con le radici della preziosa arte che ha segnato generazioni di ragazzi, ora cresciuti.
Cresciuti come Alice, che in questa parentesi ci mostra probabilmente uno dei suoi ultimi ruggiti che tanto rimandano ad un passato che vale la pena celebrare.

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