UNPROCESSED – Artificial Void

by Luca Gazzola

Ritornano, dopo circa un anno da Covernant, i ragazzi di Wiesbaden (Germania) meglio noti come Unprocessed. Si tratta di un gruppo già noto su questa pagina di recensioni di album metal, nato nel 2014 ed esordito lo stesso anno con il full lenght “In Concretion“. Ora, dopo cinque anni hanno all’attivo 3 album (compreso questo) ed un EP, oltre ad un contratto con la Long Branch Records ed un nome a livello internazionale grazie ai tour europei con gruppi del calibro dei Monuments. Il genere è una mistura di generi musicali tra cui risaltano principalmente Progressive, Industrial e Djent, con componenti di Post, Alternative, Rock, elettronica e una piccola parte di Symphonic; si ha quindi un mix particolare, con atmosfere a tratti calme e vagamente tristi e a tratti scatenate, ma senza rabbia; che alterna parti melodiche a parti pestate a vantaggio delle prime con suoni originali di altri generi che accompagnano una batteria misurata, un basso tecnico con suoni da Djent, chitarre con sonorità variegate che non negano riff virtuosi e melodie orecchiabili e una voce che passa da liscio ad alterata. L’album è composto da 12 canzoni di una durata che va dai 4 minuti scarsi a quasi 6 per una durata complessiva di quasi un’ora (58 minuti).

Tra le canzoni rilevanti:

  • Ruins: terzo pezzo dell’album. Un pezzo tutto sommato tranquillo e tecnico molto particolare e con un’atmosfera tranquilla ed appannata, in netto contrasto con gli arpeggi rapidi ben scanditi e brevi parti più vivaci, melodiche, tipico del gruppo. Non il miglior pezzo ma ha un suo perché.
  • Fear: quarta canzone. È il primo singolo pubblicato già a maggio e ha fatto il pieno su Spotify. Non c’è da stupirsi, dato che rappresenta cosa questo gruppo è in grado di concepire: riff tecnici e pestati, ritornelli ed intermezzi melodici e atmosfere da sogno, grazie anche agli effetti esterni e ad una voce pacata che accompagna per gran parte del pezzo.
  • Another Sky: nono pezzo. Una canzone lunga quasi 6 minuti ma che passa liscio come l’olio, in un equilibrio tra parti leggere e melodiche, con le chitarre che si spartiscono i suoni Djent e alternative e su cui c’è una voce pulita e calma che si incastra bene sia negli intermezzi che nei riff scatenati. Tra l’assolo di chitarra e le tastiere esterne che chiudono il quadro si può dire che sia una delle canzoni “ibride” maggiormente riuscite.
  • The Movements, Their Echoes: decima canzone dell’album. Si tratta del pezzo più pesante di tutti con un’intro a tratti Metalcore in stile Attila, ma più calcolato ed elaborato, soprattutto a distinguere questa canzone sono la voce a tratti alterata-urlata, abbastanza rara in questo album e la componente Industrial che sovrasta le altre.

Rispetto agli album precedenti gli Unprocessed hanno esplorato una strada che comprende maggiormente gli effetti sonori esterni e rafforzando una componente alternative, forse anche troppo, rallentando i ritmi e dando un maggior rilevo all’elettronica, che era comunque presente anche in Covenant ma dando comunque un ruolo di primo piano all’Industrial e Progressive, lasciando la parte Djent ad un ruolo molto marginale. Deluderà quindi i fan più affezionati a ritmi sincopati e voce grossa ma potrebbe rastrellarne parecchi di nuovi da generi più leggeri, come le visualizzazioni suggeriscono.

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