SOULFLY – Ritual

by Irene Donatoni

Max Cavalera.
Fine della recensione.

Scherzi a parte, per un disco dei Soulfly basterebbe a volte anche solo ricordare chi ne è il regista. Eppure negli ultimi tempi pareva aver deluso, aver fatto il suo tempo, con prestazioni non eccellenti e reunion con i Sepultura dal sapore dell’arrampicata sugli specchi.

Con “Ritual” possiamo dirci soddisfatti. Il brand si è salvato.

Senza tanti giri di parole, il nuovo album è eccellente. Non spicca per originalità, ma in qualità e genuinità ha tanto da offrire. La sua firma è come sempre contenuta nella selvaggia presenza del canto e del ritmo indigeno, che “Blood on the Street” ed il singolo “Ritual” ci regalano generosamente. Sono pezzi da far ribollire il sangue, il cui lascito sono un sorriso a denti stretti ed un’emozione profonda e primordiale.

Ma il disco ci regala altre perle, corredate dalla collaborazione dei Soulfly con Ross Dolan (Immolation) e Randy Blythe (Lamb of God), che prestano le loro voci per “Under Rapture” e “Dead Behind the Eyes“. La collaborazione con Dolan si era venuta a creare durante il tour “Return to Roots” e soprattutto con l’incisione assieme a Cavalera della cover “Morbid Visions”, per la compilation “Death… Is Just the Beginning” di quest’anno.

Dead Behind the Eyes” sarebbe entusiasmante anche solo per i testi – come sempre concisi ma densi di significato: il riferimento è alla figura del cenobita, in un parallelismo tra l’autolesionismo dei demoni di Hellraiser e quello dei monaci di epoca medievale.
Dicevamo: sarebbe entusiasmante anche solo per tale elemento, non fosse che pure l’alternarsi delle parti melodiche a quelle ritmiche fa venire la pelle d’oca.

Nel suo complesso, in “Ritual” la band mantiene la barra in virata verso le acque del Death, lasciando ormai quasi definitivamente gli esordi Nu Metal. La poliedricità di Cavalera crea come sempre interessanti combinazioni ed il suo sperimentare non è solo manierismo: i suoi viaggi nell’Est Europa e nei Balcani, così come l’approfondire i più svariati generi musicali a partire dal folk, l’hanno segnato al punto da rendergli impossibile la strada del ritorno.
E con fruttuosi risultati.

Concludo con il sottolineare l’esistenza di una sorta di intruglio del tutto ignorato, ma che riflette quanto si diceva sulla complessità del Cavalera autore: la serie di canzoni si conclude infatti con “Soulfly XI“, un pezzo che di metal ha ben poco, ma dall’aria malinconica e noir, che giunge a toccare le vette del Bregović di “Arizona Dream”.
Il tutto parte da un riff ispirato da “Welcome Home (Sanitarium)” e “One” dei Metallica. Parlandone a LouderSound, Max riferisce: “Marc ci ha messo del suo alla chitarra e poi abbiamo il sassofono come ciliegina sulla torta. È il sassofono a tenere il tutto assieme. Credo sia una grande chiusura, come fecero i Sabbath con ‘Mob Rules’ e ‘Heaven and Hell’.
Non si può che concordare con lui.

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