NORTHWARD – Northward

by Giuseppe Turchi

Correva l’anno 2007 quando due talenti s’incontravano per la prima volta sul palco del Progpower. After Forever lei, Pagan’s Mind lui. La storia narra di una sintonia pressoché immediata e inattesa, un po’ come può essere quella di due persone al bar che scoprono di essere cresciuti con gli stessi gruppi e gli stessi gusti. Nel 2008 i Nostri cominciano subito a comporre, ma gli impegni sono troppo serrati e il progetto rimane a decantare per dieci lunghi anni. Il 19 ottobre 2018, infine, Nuclear Blast rilascia il frutto di questa magica alchimia: “Northward“. A gestire le fila dell’omonimo progetto sono Floor Jansen e Jørn Viggo Lofstad, la prima ormai divenuta una celebrità; il secondo pronto a riconfermare le sue strabilianti capacità alla chitarra.

Tutte le strada portano a Nord, come il titolo lascia intuire, ma la sostanza è tutt’altro che estrema e si modella sull’onda dell’Hard Rock moderno con alcune contaminazioni Heavy. Potremmo fare un paragone con gli Halestorm, sebbene l’incontro di Floor e Lofstad anticipi le loro pubblicazioni di un paio d’anni. In ogni caso, le influenze sono tante (ascoltare qui per credere) e i NORTHWARD le miscelano con perizia. Non è però l’originalità il punto forte di questo album, quanto la performance dei suoi autori, i quali danno pieno sfoggio di tutte le loro capacità (e si pongono come modello per chiunque voglia fare il musicista N.d.R.).

Le tematiche trattate si sviluppano su tre temi principali e sono: le relazioni difficili con gli altri, l’iper-critica verso sé stessi, la voglia di riscatto e leggerezza. A questo proposito va sottolineata una certa ripetitività nelle tematiche, che però viene ampiamente compensata da una metrica intelligente e mai scontata delle parole. Sopraffina sotto ogni punto di vista l’interpretazione e l’alternarsi dei timbri che Floor gestisce con incredibile naturalezza, siano essi falsetti, voci dolci o graffiati esplosivi. Gli fa eco Lofstad che fa vibrare la sua sei corde come un acrobata. Il suo tocco è semplicemente perfetto. Ogni accordo, effetto o virtuosismo si inserisce nel posto giusto al momento giusto, senza inutili esibizionismi, ma sempre e solo per il bene delle canzoni.

Ad aprire il disco ci pensa il singolo “While Love Died“, quella che a mio parere è la vera “killer track” dell’album. Parliamo di una melodia frizzante in cui Floor utilizza il suo range vocale al 200%. Sì, avete letto bene, 200% perchè una simile performance non s’è mai sentita nei Nightwish e nemmeno nei gruppi precedenti. La padronanza e l’espressività raggiungono qui un picco tale per cui si potrebbe dire che, tra tutti i generi musicali, sia proprio questo Hard Rock quello che meglio si confà alla vichinga olandese. Questo perché Floor è una voce di potenza, pregevolmente versatile, ma priva del timbro profondo della Turunen così come di quello cristallino della Simons. Non è un caso che Holopainen non abbia saputo gestirlo a dovere in “Endless Forms Most Beautiful”, laddove la performance migliora in sede live quando la vocalist si concede iniziative più personali. Tornando alla canzone, alcuni ascoltatori hanno percepito delle assonanze con i Foo Fighters nelle melodie, il che ha un margine di verità. Ciò non toglie che sotto molti altri aspetti il pezzo se ne discosti. Ciò che stupisce, inoltre, è l’apparente distonia tra il testo e l’arrangiamento. “While Love Died” è infatti molto energica, sbarazzina e ha un video piuttosto allegro. Bene, il testo non è niente di tutto ciò. Anzi, sotto certi aspetti è tremendamente drammatico, perché sembra parlare di un partner bipolare, manipolativo e in preda a improvvisi scatti d’odio.

Un tema questo che si riprende anche con la successiva “Get What You Give” dove di nuovo si presenta un individuo fortemente nevrotico ed egoista che, questa volta, pare aver avuto il ben servito:

You’re scaring me and forcing me
I’m fearing you, stop breaking me!
Paranoid lies
Is it hard to see?
I’m sure it can be
But you have crossed the line!
You did, too often
Pushing me and pulling me
I’m bleeding here, you’re killing me

Di per sé il brano offre una sorta di Funky la cui mente ci riporta a una versione appesantita degli Aerosmith. Di nuovo grande prova tecnica per i due autori, che poi cambiano tematiche con “Storm In a Glass“. In questo caso  infatti il tema centrale diventa l’eccessiva autocritica, la ricerca di identità. Temi piuttosto “delicati”, eppure presentati attraverso un songwriting molto arioso e catchy, soprattutto nel ritornello. Rimembranze dei Nirvana compaiono invece con “Drifting Island“, la quale ci riporta alle relazioni difficili con il partner, evidenziando in particolar modo la mancanza di reciprocità:

I need to feel you still care, make your thoughts known
I’m done with doing that first!

Il brano vede inoltre la collaborazione della sorella di Floor, Irene Jansen, forse non essenziale, ma che dà una bella carica nel ritornello.

Toni più morbidi e dominanza della chitarra clean connotano invece “Paragon“, la gemella concettuale di “Storm in a Glass“. Il brano non è forse il più appealing dell’album, ma Lofstad confeziona un finale carico di pathos. Molto orecchiabile invece il ritornello di “Let Me Out” che ci offre un Hard Rock più classico nel quale la ragazza sottomessa sembra finalmente riprendere il controllo delle proprie emozioni. E ancora di  rivincita si parla in “Big Boy“, altro intermezzo funkeggiante dove suddetta ragazza diviene consapevole del potere del proprio corpo, con una dovuta precisazione:

So here’s my body, and here’s my big smile
So much for talents
This makes me worthwhile
It’s too bad I also got brains

Pioggia di armonici ferali introducono invece “Timebomb” per poi lasciar posto a strofe in acustico. Il ritornello è una vera iniezione di energia in salsa drammatica, poiché la ragazza adesso si sente in colpa per le proprie pulsioni. Pulsioni a cui forse vanno messe le briglie per esprimere i sentimenti migliori. Di questo parla la tenera “Bridle Passion“, un brevissimo concentrato di emozioni in cui la Floor più dolce di sempre viene sostenuta da un delicatissimo Lofstad all’acustica. Peccato che le passioni in realtà non vengano trattenute affatto e si consumino nell’agitatissima “I Need“. Di nuovo un Hard Rock classico dal ritornello arioso e trascinante. Chiude infine la titletrack “Northward“. Floor opta di nuovo per i timbri più fini in questi sette minuti di pura ricerca di sé: tutte le strade per la realizzazione e la felicità portano a Nord.

Che dire, infine? Il lavoro è certamente ottimo sia sotto l’aspetto dell’esecuzione che della produzione. I suoni sono meravigliosamente calibrati in un amalgama vincente. Floor conquista probabilmente il titolo di Rock Queen surclassando di gran lunga molte icone del passato. Lofstad si dimostra un vero e proprio “plettro d’oro”. Il mio grande rammarico è che ci sia soltanto una killer song. La croce che “compromette” “Northward” è il fatto di non avere molti brani che si fissino nelle orecchie. L’originalità e il coinvolgimento in molti punti viene meno, lasciando incantati per il solo reparto tecnico. Stiamo parlando insomma di un prodotto eccellente che potrebbe guadagnare qualche punto per gli ascoltatori che si trovano nello stato emotivo della Floor compositrice, o per quelli in grado di cantarlo (è un vero spasso N.d.R.). Per il resto, manca un quid capace di appagare fino in fondo l’orecchio.

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