LET US PREY – Virtues of the Vicious

by Loris Clerico

In questo 2020 partito male per via del Covid-19, troviamo ogni tanto un raggio di luce. Quello di oggi si chiama Let Us Prey, gruppo statunitense che spara la prima cartuccia chiamata “Virtues of the Vicious“.

La band è capitanata dal cantante di Ross The Boss, Marc Lopes, e ha appena pubblicato sugli scaffali via M-Theory Audio questo loro nuovo lavoro che noi oggi recensiremo con molta curiosità. Il disco d’esordio è stato registrato da Nick Bellmore (Five Finger Death Punch Hatebreed, Toxic Holocaust e Pete Rutcho (Revocation, Havok), il quale si è anche occupato del missaggio e del mastering. Inoltre, in questo album troviamo delle collaborazioni con personaggi ben noti nella scena metal e rock, come ad esempio Jon Donais (Anthrax) e Jimi Bell (Autograph, House Of Lords).

Above The Vaulted Sky” è la traccia posta in apertura, pura, dura e diretta. Uno schiaffo nelle orecchie dell’ascoltatore, giusto per iniziare bene l’ascolto del disco, il pezzo è composto da una struttura musicale semplice, un ritmo molto thrash ed un ritornello molto power. Marc riesce a passare senza problemi dal cantato ruvido e graffiante a delle tonalità alte che richiamano molto i Gamma Ray di Ralf Scheepers.
Il secondo e il terzo pezzo sono un continuo thrash/death senza sosta, due brani che non puntano a far scendere la voglia di ascoltare il disco. “Halo Crown” è la traccia che infiamma definitivamente l’ascolto e rimane facilmente impressa nella mente dell’ascoltatore (forse per il ritornello comunque melodico). Purtroppo, uno dei pochi passaggi che si fa ascoltare ripetutamente, ma non per questo il disco va svalutato.
La scelta di aggiungere le tastiere in alcuni brani non è per nulla azzeccata, anzi, non si riesce proprio a distinguere, come ad esempio in “Ghost Echoes“, pezzo in collaborazione con il già citato Jimi Bell.

Pur non evidenziando particolari punti salienti, se non appunto “Halo Crown“, il disco scorre molto bene e non suona mai troppo noioso o lento, e si conclude con una canzone che potrebbe essere un’ottima scelta come apertura per un concerto, ovvero “And Hell Followed With Me“. Di per sé il lavoro non è del tutto da scartare, ma nemmeno da ascoltare mille volte. Il disco è semplice, e offre del thrash duro e puro che potrebbe piacere di più alle nuove generazioni rispetto che a quelle più datate.
Se speravate di sentire una proposta capace di ricordare Ross The Boss e Manowar, mi spiace deludervi, ma non sarà così, non troverete neppure mezza canzone simile o strutturalmente costruita in base alle vecchie esperienze della band.

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