KORPIKLAANI – Kulkija

by Irene Donatoni

Quando si recensisce un album di band finlandesi che cantano in finlandese, la maggior parte del tempo viene spesa a controllare che i titoli siano corretti.
Scherzi a parte, c’è da dire che “Kulkija” presenta tutte le tracce in lingua locale. Non solo: è decisamente un’uscita più folk del solito. Entrambe queste scelte sono segno di grande fiducia in se stessi da parte dei Korpiklaani, che sanno benissimo che qualsiasi cosa provenga da loro sarà un successo.

Non che l’uso del finlandese sia una novità: è già il quarto album a presentarsi in questa veste. Quello che colpisce è la finalità dei quattordici pezzi, i quali legano la matrice linguistica a quella espressiva: i Korpiklaani abbandonano le canzoni da festa e si dedicano all’esplorazione della mitologia delle loro terre di origine, sviluppandone in modo raffinato il lato psicologico e riflessivo. Ecco che il personaggio principale dell’album, il “Kulkija” (viaggiatore), diventa l’ascoltatore stesso, accompagnato attraverso ben quattordici tracce attraverso le lande contadine rappresentate sulla copertina stessa. Stiamo parlando dell’ottava cover realizzata per la band di Helsinki da Jan Yrlund (Battle Beast, Manowar), tratta da una foto scattata nei pressi di Kuhmoinen. La prospettiva in prima persona è un segnale forte del fatto che l’album sia altamente partecipativo e che richieda la nostra stessa presenza.

Ma entriamo nel vivo della recensione.

Come anticipato, i Korpiklaani hanno lasciato ampio spazio a Tuomas Rounakari (violino) e a Sami Perttula (fisarmonica). In particolare la terza parte dell’album è dedicata a varie tonalità del folk, con Kuin korpi nukkuva (“Come una foresta addormentata”) e Tuttu on tie (“La strada è familiare”) a farla da padrone. Una chicca è di certo Sillanrakentaja (“Il costruttore di ponti”), che sorprende con un coro di bambini in chiusura – figli di Cane (chitarra) e Jonne Jarvela (voce).
Neito (“La fanciulla”) e Kallon malja (“Calice tratto da un cranio”) sono invece i pezzi più heavy. Quest’ultima rievoca un rito sciamanico compiuto nel bel mezzo della Lapponia e la cupa scena viene comunicata attraverso ritmi solidamente delineati da basso (Jarkko Aaltonen) e batteria (Matson Johansson).

Harmaja è un colpo al cuore: forse una delle ballate più dolci degli ultimi anni nella musica metal: stupisce che provenga da una band conosciuta per le canzoni da party alcolico. Nonostante l’estrema bellezza della melodia eseguita da Tuomas, mi aggrego al commento rilasciato da “A&P-Reacts” sul loro canale YouTube: se i Korpiklaani avessero reso il pezzo un duetto – alla maniera di “Where the Roses Grow” di Nick Cave con Kilie Minogue – si sarebbero raggiunte vette di perfezione.
Il vero problema di “Harmaja” (“Il grigiore”) non sta comunque nella musica, ma nelle scelte del video: l’angelo che rappresenta la moglie di ritorno dall’Aldilà per poter salutare un’ultima volta il proprio marito sofferente è una figura troppo distante dall’atmosfera nordica a cui ci ha abituati la band. Si potrebbe argomentare che il testo parla di un uccellino impossibilitato a volare verso sud a causa di un’ala spezzata, ma l’iconografia nel video è assai chiara.

Kotikonnut (“La casa di campagna”) merita una menzione speciale, nonostante alcuni passaggi discutibili. Non solo le battute che accompagnano la voce di Jonne rendono impossibile starsene fermi… ma il significato dell’intero pezzo incuriosisce. Il viaggiatore si ferma a riflettere sul suo passato e, nonostante sia felice della sua situazione attuale, non può fare a meno di provare un senso di perdita nel ricordare i giorni passati nella fattoria con la famiglia e la propria donna. Sa che i ricordi spariranno col tempo, sbiadiranno nella memoria assieme ai momenti attuali. E questa tematica è presente anche in “Harmaja“, associata però al lutto.

A dire il vero, l’intero album è pervaso da una certa nota nostalgica. Parrebbe che la decima produzione della band, dopo 25 anni di attività, sia rivolta a una revisione del proprio lavoro e del proprio percorso personale. Si può percepire il senso di soddisfazione commisto alla fatica della vita da musicisti, quel cammino che comprende non solo gioie ma anche difficoltà e rinunce.
È un cammino che ha colpito in passato alcuni membri della band al punto da fermare il loro percorso nei Korpiklaani, come nel caso di Teemu Eerola (violino) e Juho Kauppinen (fisarmonica) – e in un certo senso di Jaakko Hittavainen Lemmetty (violino), che ha lasciato per le proprie condizioni di salute.

Si è persa un po’ quell’aria da sagra di cui i finlandesi erano una garanzia. Il cambio di rotta, per quanto graduale se considerati “Manala” (2012) e “Noita” (2015), lascia l’amaro in bocca. Ciononostante, proseguono nel distinguersi considerevolmente da ogni altro gruppo del genere. Inoltre l’esecuzione e la qualità della registrazione sono eccellenti.
Nonostante abbia passato minuti e minuti della mia vita a ricontrollare dei dannati titoli, dunque, mi sento di consigliare questo album e di promuoverlo a pieni voti!

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