KIM – KIM

by Andrea Rossano

KIM è il risultato della detenzione di 4 dissidenti torturati e riconvertiti dopo l’arresto nelle carceri dello Studio 73 di Ravenna per conto della Bunch Records di Milano. Una volta liberati e a seguito di una rapida scalata nei ranghi militari, ora sono elementi di spicco del regime Nord Coreano. Con questo progetto hanno deciso di esprimere la loro gratitudine circa le meraviglie della loro fiorente nazione portando alle nostre orecchie tale gioiello di distruzione di massa.
Nelle loro stesse parole, lo scopo del progetto KIM è di descrivere “la sublimazione del controllo, del lavaggio del cervello e della propaganda continua e sistematica”. Yodok prende il nome dal campo di concentramento di Yodŏk, a 110km a Nord Est di Pyongyang, dove il regime detiene e costringe ai lavori forzati in condizioni disumane chi ha tentato la fuga oltre confine, i dissidenti politici e le loro famiglie.
L’intro al disco è puro rumore atto, nella sua claustrofobica placidità, a inquietare l’ascoltatore. Dei tintinnii metallici decorano chirurgicamente un’atmosfera oppressiva da fabbrica, dove l’aria calda è intrisa di zolfo. Il tutto accompagnato da sporadici tamburi tribali, come in un rituale per accompagnarci ai grigi portoni di una sala macchine infernale.

Pyongyang Nights prosegue con un mid tempo che pesa come un macigno sovrastato dalla chitarra ipnotica e malevola di Kim Jon-Il. Il suo incedere sembra volerci trasmettere l’aria di oppressione di chi vaga solitario nelle notti buie della capitale, per poi impazzire, gettarsi in una folle corsa autodistruttiva fatta di incontrollabili blast beats e il growl furioso di Kim Il-Sung, sfociando nel grind più rabbioso e in un finale di chitarre noise. Ed infatti la traccia ci racconta il viaggio interiore di un suicida che non riesce a reggere la propria memoria. Tutto è buio come le notti di Pyongyang dove alle 23 scatta il coprifuoco e non c’è più illuminazione sia nelle strade che nelle case.

Concordia già dal titolo lascia intendere che il tema stavolta è spostato sull’italia. Traccia quasi anatemica per il suo incedere cadenzato e thrasheggiante. Un urlo rabbioso contro una società fondata sulla discordia e disprezzo altrui, dove tutti siamo pronti ad affondarci per salire sul carro del vincitore sia nella vita quotidiana che nei rapporti personali.

Chinese Restaurant Syndrome, la quarta traccia dell’EP, è puro noise rock. Due minuti e mezzo di pura atmosfera sulfurea. Quasi a voler ricordare che c’è un parallelo tra ripetute ricadute verso il totalitarismo politico e gli occhi più grandi della bocca al ristorante: troppi paroloni vuoti come le spezie portano alla nausea e al fatidico “questa è l’ultima volta”.

Kimchi prende il nome da un piatto tradizionale coreano a base di verdure fermentate con spezie. Groove e ancora groove, dove a dettare legge è il basso di Kim Jong-Un (comunque sempre piacevolmente in evidenza lungo tutto il disco). Anche qui la voce assume a tratti i caratteri di propaganda sputata in faccia alle folle oceaniche. Potremmo considerarlo il potenziale singolo trainante del disco. Energico e marziale nel suo avanzare verso il fronte della misantropia, per poi a metà lanciarsi come una testuggine in una cavalcata epica verso il finale dove Kim Tu-Bong disintegra il nemico con tutta la sua potenza.

Changma è un brevissimo intermezzo strumentale, distruttivo come il terremoto del 1932 da cui prende il nome.

Youth & Technocracy parte come un missile grind sparato dal kit di Kim Tu-Bong per poi a metà “rallentare”come farebbe un carro armato che ha puntato il bersaglio. Traccia che ci ricorda come siamo pur sempre dei giovani disagiati fedeli al regime, sacrificabili per l’idea, cresciuti a pane, controllo e propaganda.

Lamnok, la traccia conclusiva dell’album, è un sinistro requiem noise filmato in bianco e nero. Il pezzo procede calmo come se volesse descrivere la lenta morte della ragione quando si vive in isolamento politico e sociale. Da qui appunto il concetto che sta alla base della fatica dei Nostri: il grottesco della quotidianità dove invochiamo diritti ma siamo sempre più pieni di odio verso gli altri.

I nostri quindi ci propongono una miscela ben riuscita di rabbia, grind, groove metal, un pizzico di noise rock/core, improvvisazione e avant-garde riuscendo musicalmente e convincendo nell’intento di assoldare nuove leve per la causa della Corea del Nord.

Bandcamp: https://bunchrecords.bandcamp.com/album/kim

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