KHAZAD DUM – Garmadh

by Matteo Ferro

Non avevo mai sentito parlare prima di questi Khazad Dum, band proveniente dal Brasile. Da affermare subito che ci troviamo al cospetto di un gruppo dalle enormi capacità compositive. Nonostante la provenienza brasiliana, terra di sole, mare, samba e percussioni, i suddetti artisti ci propongono un black metal buio, nero, mistico, epico e tinto di svariate e variegate sfumature e richiami. Ma andiamo ad addentrarci più nel profondo di questo gioiellino.

Apre il disco l’”Introche ci dà subito il benvenuto con una melodia epica, ma allo stesso tempo triste. Per certi versi mi ha rievocato subito i Summoning, anche per la cornice fantasy che riescono a rappresentare e a pitturare con tale sonorità. Segue “Rise of the Immortals”, un’autentica mitragliata. Impossibile non ammettere che l’impatto è deciso, un perfetto attacco frontale (e forse un richiamo) agli Enthroned (periodo “Towards The Skullthrone of Satan”), una doppia cassa tirata al massimo e senza compromessi, come si può addice ad un perfetto old style del Black Metal. Successivamente il pezzo si tinge di altri colori, non tralasciando l’aggressività e portando in primo piano anche l’epicità mai scontata e mai pacchiana di gruppi come Falkenbach, ma anche dei Bathory del secondo periodo. A seguire, l’urlato “The Rise of Immortals” da il via alla ripartenza del brano con una sparata black che porta alla conclusione.

Acustica invece la terza traccia “Draut Gaddur” che, nonostante l’assenza di batteria, appare proprio come una cavalcata. Le due chitarre si rincorrono, si intersecano, si mischiano, si legano, e corrono tra loro quasi a farci sentire il vento sulla faccia.
Isildur’s Bane” riparte a pieno campo nell’olimpo delle sonorità 90’s del Black. In aggiunta alla già citata influenza degli Enthroned, qui a parer mio ancora più udibile, interviene anche il perfetto connubio tra sezioni veloci come fulmini e momenti di respiro acustici facendo percepire un’altra delle influenze che regna in tutto il disco, quella del primo periodo dei Satyricon (“Dark Medieval Times” su tutti). Infatti, se poi ascolterete il disco per la seconda volta, vi renderete conto che al primo ascolto non si scorge subito tale sfaccettatura, ma che il sound di Frost e Satyr dei bei tempi era già in sordina, quasi come non volerlo far emergere sin da subito per lasciarlo uscire pian piano, fino ad esplodere al 100% all’interno di questo brano.
The Band Of Wisdom” riassume e conferma ciò che è stato detto traccia per traccia, ovvero sfrontatezza nei confronti dell’ascoltatore, pieno possesso e padronanza della potenza. La voce, tra l’altro elemento determinante per questo lavoro, non risulta scontata e banale come in molte uscite black metal, bensì si tratta di un mix di crudeltà legata al Death Metal, amalgamato a quella cattiveria black che non sai mai dove finirà. Unico tasto dolente di questo pezzo, la dissolvenza finale del brano che mi ha lasciato con l’amaro in bocca. Sembrava dovesse riesplodere il tutto e invece un finale repentino mi ha lasciato di stucco, anche questo però se ci pensate bene fa parte del modo “Black 90’s” di chiudere i brani. Chiude questo gioiello “Proud & Feeble Men” una perfetta canzone “da chiusura”, epica, gloriosa se si vuole, definibile in un solo modo: “Absolutely Epic Black Metal”.
I Khazad Dum mi hanno davvero perforato l’anima, visto che raramente si riesce ad ascoltare qualcosa del genere collegato a gli anni d’oro del black (quello vero in tutte le sue sfaccettature e sottofamiglie) che fu. Li ho amati subito, perché li ho presi come dei professionisti pronti a dare al genere ciò che il genere non sta dando da molto. La vena non innovativa e “classic” del loro mood fa di loro degli autentici portavoce del Black più odiato, bannato, quello della “musica pericolosa”. Obbligatorio per amanti di Enthroned, Satyricon (i più datati), Falkenbach, ma anche di Summoning e Sojourner. Obbligatori per il sottoscritto album e t-shirt. Grandi!

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