IN FLAMES – I, the Mask

by Riccardo Basso

Parlare del nuovo disco della band più amata-odiata di Göteborg è difficile, molto difficile. Gli In Flames con questo nuovo “I, The Mask” sono infatti riusciti a mettersi (ancora una volta) in una posizione non proprio vantaggiosa. Questa volta la “colpa” la si può attribuire ad alcuni dei singoli usciti nelle scorse settimane: i pezzi in questione hanno fatto gridare al miracolo una buona parte dei fan della band, dato che i Nostri sembravano aver fatto veramente un passo indietro verso certe sonorità, e questo ha ovviamente ha alzato le aspettative intorno a “I, The Mask”. Invece no, anche questa volta Fridén e Gelotte l’hanno fatta a tutti.

Una breve intro elettronica dà il via a “Voices“, pezzo abbastanza cupo e che ha l’arduo compito di aprire le danze. La canzone si riattacca alle sonorità di “Sounds of a Playground Fading” e ci mostra una band in tiro e carica. A seguire abbiamo la titletrack, un tupa-tupa incazzato spezzato da un ritornello melodico veramente ispirato, che potrebbe essere la summa perfetta tra gli In Flames degli anni ’90 e gli In Flames post Jesper. “I Am Above” è invece un pezzo arrogante e monolitico che non fa prigionieri e che sommato ai brani precedenti non può non fare dire “Ce l’hanno fatta!“. Cantare vittoria è però prematuro, perché i brani successivi, da “Follow Me” a “In This Life“, altro non sono che pezzi rock super radiofonici dove a farla da padrone sono le clean vocals di Anders Fridén. I risultati sono altalenanti: se “(This Is Our) House” nel complesso cresce e si fa apprezzare nel contesto generale, “In This Life” si rivela una delle cose più brutte mai scritte dagli In Flames. Il pezzo in questione è una pseudo ballad forzata e noiosa. “We Will Remember” invece gioca con i sentimenti: l’artwork del libretto ci mostra le copertine di “The Jester Race”, “Colony”, “Clayman” e “Soundtrack to Your Escape” che stanno perdendo colore e il testo vuole essere un tributo al passato, ma anche una sorta di spiegazione della filosofia della band: “Non dimentichiamo il passato e gli rendiamo omaggio, ma dobbiamo andare avanti.” Dopo la parentesi radiofonica troviamo la veloce “Burn” e l’arabeggiante “Deep Inside” che introducono le due ballad conclusive che risultano abbastanza indigeste, forse “Stay With Me” è la più gradevole.

Tirando le somme “I, The Mask” è un disco dalle mille facce e che lascia sentimenti contrastanti. I brani veloci sono veramente ispirati, cosa che negli ultimi due dischi non erano, e i pezzi più commerciali nel complesso si lasciano apprezzare (se vi  piaciuto “Battles” ci andrete a nozze). Il punto debole del disco è da ricercarsi nelle ballad, che sono veramente pesanti e poco ispirate (“Evil in a Closet” o “Metaphor” erano di tutt’altra pasta). Altra cosa negativa è la produzione che incentra tutto su batteria e voce e riduce spesso il lavoro della coppia Gelotte-Engelin a un misero sottofondo che emerge a gomitate solo durante gli assoli. Un vero peccato, perché certi giri sono veramente ispirati. “I, The Mask” è comunque un disco che cresce con gli ascolti e che il più delle volte riesce a tenere in equilibrio le varie personalità degli In Flames. Se state ancora aspettando il ritorno a “The Jester Race” anche stavolta resterete delusi, ma se siete onnivori e avete apprezzato più o meno tutte le sfaccettature della band di Göteborg, sicuramente vi piacerà anche questa nuova fatica della band.

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