FINSTERFORST – Zerfall

by Sara Di Gaspero

Dopo tre anni da quell’EP che sembrava aver rovinato tutto, ritornano i tedeschi Finsterforst con il loro quinto album “Zerfall”, un album che si autodichiara il massimo della capacità compositiva dei sei di Friburgo. Un disco che prende completamente le distanze da “#YOLO” e che auspica il ritorno ai grandi fasti di un tempo. 

Prima di tutto: in che genere si classificano i Finsterforst? Bella domanda, dato che ognuno sembra avere la sua versione. Le fonti “ufficiali” li indicano come black forest metal, un’etichetta che strizza l’occhio alle origini geografiche della compagine, sottintendendo un personalissimo modo d’intendere il post-black metal; Metal Archives invece li infila nel genere del folk metal, non solo per l’epicità dei cori ma probabilmente anche per l’uso della fisarmonica, strumento che si è perso lungo la costruzione della discografia dei Nostri. In questo disco l’anima del folk impregna ancora le composizioni, nonostante l’assenza di veri strumenti folkloristici: infatti in “Zerfall” la fisarmonica ritorna, ma come mero effetto di tastiera. Sbirciando (un po’ per curiosità, un po’ per i fini di questa recensione) negli altri siti dedicati al metal, l’opinione si sbilancia o per l’una o per l’altra ipotesi, senza trovare un vero punto fermo. Personalmente li trovo più tendenti verso il folk, con dei momenti in cui viene sfoggiato un bel black sporco di post, formando così una commistione interessante. Alle volte le due tinte vengono mescolate, creando un effetto molto carino e originale.

Secondo punto: per affrontare la discografia dei Finsterforst bisogna amarsi di moltissima pazienza. Se negli altri album si erano toccate vette di brani lunghi ventitré/ventidue minuti con pochissimi intermezzi sotto i tre, con “Zerfall” i Nostri rischiano il tutto per tutto schierando cinque canzoni che durano da un minimo di otto ad un massimo di TRENTASEI minuti. Sì, avete letto bene. Quest’album è un mostro di circa ottanta minuti, di cui quasi la metà è occupato da una sola canzone. Un rischio non indifferente, questo è da concedere. Come conseguenza, l’analisi brano per brano risulterebbe assolutamente noiosa e ripetitiva. 

Dedichiamoci quindi agli aspetti generali: quello in questione è un album dalle tinte molto oscure, che ricordano un certo tipo di folk metal simile ai Tyr e agli Eluveitie di “Spirit”. Profondi cori maschili e imperiosi tromboni fanno da filo conduttore ad ogni brano, donando quell’epicità di cui si tinge l’intero album. Altro filo conduttore è il post-black metal, che ad un certo punto prende il controllo totale di buona parte delle canzoni. I tappeti di tastiere arricchiscono ogni brano con sfumature quasi da colonna sonora e ogni strumento trova il suo spazio nello svolgimento; sicuramente i Finsterforst non scherzavano quando hanno deciso di distanziarsi da quel nefasto EP del 2016. Ma se scendiamo nel dettaglio? Bè, si può dire che rispetto alla vecchia discografia non c’è molto di nuovo. E la lunghezza dei brani non aiuta per niente. 

Wut” apre l’album in maniera egregia con i suoi tredici minuti, divisi quasi a metà fra aspetti più propriamente folk e un’infuriata post black di tutto rispetto. La title-track è ovviamente il brano scelto per fare da sfondo al video promozionale dell’album, infatti infuria da subito con un breve assolo che ci porta su un campo di battaglia prima dello scontro fra le due fazioni nemiche. Il ritornello è molto orecchiabile e in effetti lo rende il cavallo migliore su cui puntare per pubblicizzare questa fatica in studio. 

Con “Fluch Des Seins” comincia la fatica. La lunga intro epica non attinge nulla di nuovo; una parte di batteria che sembra quasi rituale infonde un pochino di novità nella strofa, ma la formula rimane pressoché la stessa, anche nell’ormai abituale momento in cui la voce maschile parla da sola su un sottofondo che sembra auspicare una potente esplosione di furore. Persino l’intervento dei tromboni comincia a suonare riciclata dai primi due brani; un vero peccato, dato che siamo quasi a metà album. “Weltenbrand” subisce la stessa sorte.

Il momento che tutti aspettavamo è quello di “Ecce Homo”, trentasei minuti e ventinove secondi in tutto. Il riassunto dell’ascolto è: manca qualcosa. Un po’ come in tutto l’album, praticamente. L’impressione è quella che i Finsterforst abbiano inserito all’interno di un unico brano tutto ciò che è stato composto nel tempo ma giudicato non abbastanza forte da avere un brano solo per sé, finendo con il creare un mega riassunto di tutto quello che è stata la loro discografia prima e durante. Il riassunto però è stato consegnato senza rivederlo, senza cercare di aggiungere quel qualcosa in più che permette di godersi veramente un brano di quell’assurda lunghezza e di permettere all’ascoltatore di averne una forte impressione. È onestamente insipido.

Capiamoci: “Zerfall” non è un brutto album. È la lunghezza dei brani e una quasi totale assenza di vera fantasia compositiva a condannarlo duramente, ma tutto sommato è un’epica cavalcata metal di tutto rispetto. Se non si cerca la novità o il dettaglio accattivante questo è un bel disco, ma nel mio particolare caso ha vinto la noia e la ripetitività, non lasciandomi molto se non un profondo dispiacere per qualcosa che avrebbe potuto essere decisamente migliore, dato che si presentava come tale. La verità è che, se cercate quest’album su Spotify, troverete sia “Fluch Des Seins” che “Ecce Homo” in versioni molto più brevi, della durata di quattro e cinque minuti rispettivamente. L’esistenza di queste varianti fa nascere spontanea la domanda: forse era meglio rendere quelle le versioni ufficiali? O forse stiamo perdendo la pazienza e la concentrazione per affrontare brani così lunghi? Fino al momento in cui troveremo una risposta a questi quesiti, auguro ai Finsterforst di tagliare un pochino con il passato e di trovare ancora più originalità nella loro proposta già particolarmente unica; sicuramente potranno farcela. Per ora manca decisamente ancora qualcosa.

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