ENEMY OF REALITY – Arakhne

by Giuseppe Turchi

Come la tessitrice Arakhne sfidò Atena in una gara di filatura, così gli Enemy Of Reality sfidano oggi le divinità del symphonic metal con un concept album radicato nei miti della Grecia antica. Ed è proprio la tessitrice della Lidia a prestare il nome al secondo full-length della giovanissima band ellenica, uscito il 23 ottobre 2016 per FYB Records. Un disco ricco, pomposo, forte di collaborazioni importanti (Jeff Waters, Fabio Lione e Chiara Malvestiti) e che segna un grande balzo in avanti rispetto al mediocre “Rejected Gods” del 2014.

Arakhne” è un album saggio, nel senso aristotelico del termine, ovvero capace di mediare tra i due estremi dell’opera lirica (per sua natura complessa e non di facile ascolto) e del symphonic metal mainstream più collaudato (per non dire abusato). Quello che ne risulta è un lavoro che finalmente riesce ad abbozzare un qualche tipo di atmosfera, cosa che le band symphonic di terza generazione faticano a creare. Punti di pregio sono dunque gli arrangiamenti cinematografici, l’impostazione vocale della bravissima Iliana e l’impianto teatrale dell’opera. Tradotto: i vocalizzi sono virtuosi, l’interpretazione ha pathos e gli ottoni emergono con una certa decisione. Aggiungiamo anche qualche intermezzo in lingua nativa, ed ecco che l’ascoltatore s’immagina seduto sui gradoni di un antico anfiteatro (o dentro il set di un kolossal anni ’50), pronto ad assaporare una musica che, io penso, può dare il massimo se accoppiata con una scenografia in tema.

Menzione d’onore per le tracce “Nouthetisis” e “Showdown“. La prima è con tutta probabilità la canzone migliore dell’album, che parte recitata e si distingue per un eccellente virtuosismo vocale nei bridge precedenti al ritornello. La seconda, invece, beneficia della presenza di Chiara Malvestiti e offre un ritornello straziante veramente di livello. In terza posizione troviamo i ritmi cadenzati di “The Taste of Defeat” che ondeggia tra momenti delicati e improvvisi crescendo. Belli gli arrangiamenti di “Time Immemorial” (inserti elettronici esclusi), e discreta anche “In Hiding“, a patto che non se ne guardi il lyric video. Obbligatorio l’uso delle cuffie o di un impianto audio all’altezza.

Parlando di difetti, invece, si può dire che il punto “dolente” sta nel non aver calcato ancora di più la mano sulle orchestrazioni barocco/gotiche e sulla recitazione. Il difetto, in altre parole, è non aver elaborato al massimo i punti di pregio. Ingannatore infatti è l’intro “Martyr“, un breve pezzo sontuoso come solo i Septicflesh di “Communion” e “The Great Mass” hanno saputo essere, una opener che promette di esplorare le colorazioni più grottesche dell’orchestra ma che poi lascia spazio a una magnificenza che, in certi punti, ha un sapore non del tutto inedito. Un sapore, ricordiamo, estremamente migliorato rispetto al già citato “Rejected Gods“.

In conclusione, gli Enemy Of Reality hanno fatto un buon lavoro e s’impongono come band emergente da tenere sotto stretta osservazione. Un interessante percorso è stato intrapreso: un percorso che, se portato a maturazione, potrebbe persino dare una spallata ai nomi più blasonati del genere.

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