DIAMOND HEAD – Lightning to the Nations 2020

by Luca Margini

I Diamond Head sono stati, e continuano ad essere, uno dei simboli degli anni ’80. I Metallica, da sempre grandi fan del gruppo inglese, ci hanno nel tempo regalato diverse cover, portandoci a scoprire questo gruppo NWOBHM che forse avremmo erroneamente dimenticato, come successo per altre realtà come i leggendari Tokyo Blade, se non fosse per la passione che Hetfield & co. nutrivano nei confronti di questo spettacolare gruppo. Ma parliamo del prodotto di oggi, che non rappresenta il nuovo album di inediti, né una raccolta o una remastered, bensì un vero e proprio remake del primo, iconico, disco: “Lightning To The Nations 2020“.

Innanzitutto penso sia inutile soffermarmi sulla valenza delle tracce, perché ogni singolo brano della tracklist è un classico, dall’iconica “Am I Evil?”, alla divertentissima  “It’s Electric”, alle potenti “Lightning To The Nations” ed “Helpless”, qui riproposte in una salsa più moderna, ma che non dimentica il passato dei Diamond Head. Sì, perché non dovete aspettarvi un rifacimento 1:1, bensì una reinterpretazione in chiave più moderna, un come sarebbe Lightning to the Nations se uscisse ai giorni nostri, non commettete però l’errore di pensare che il marchio di fabbrica sia andato perso, tutt’altro.
Tutti i brani sono stati notevolmente appesantiti , rispetto agli originali, con chitarre molto più possenti e una chiara influenza ripescata proprio dalle cover dei Metallica. Potreste vedere quest’album come una mera operazione commerciale volta alla nostalgia di tempi passati, eppure vi dico, non è totalmente così proprio in virtù del rimaneggiamento dei pezzi, che vi sapranno dare emozioni differenti rispetto alle controparti anni ’80, così come diverso è lo spirito con cui va vissuto: andrebbe ascoltato con lo spirito di sentirsi una versione diversa di un classico e soprattutto sarebbe il caso di evitare paragoni, sarebbe un modo eccessivamente semplice di “demolire” questo remake, che va anzi apprezzato proprio in virtù della diversità rispetto all’originale, perché se no tanto valeva l’ennesima remastered.
A chiudere l’album troviamo poi una manciata di cover, la cui più interessante è sicuramente “No Remorse”, non solo perché splendidamente riproposta nello stile del disco, ma perché è un po’ un cerchio che si chiude, non so, lo vedo quasi come un ringraziamento da parte dei Diamond Head ai Metallica e sì, ammetto di essere forse molto teatrale, ma trovo la cosa veramente emozionante.
Le altre cover sono di gruppi che, probabilmente, hanno influenzato i nostri inglesi, tra “Sinner” (Judas Priest), “Immigrant Song” (Led Zeppelin) e “Rat Bat Blue” (Deep Purple), interessanti ma nulla più.

Non mi resta che consigliarvi l’ascolto, anche se siete poco avvezzi al metal anni ’80, perché qui abbiamo un disco che è contemporaneamente legato al passato e inserito nel presente, come del resto lo fu anche il recente “The Coffin Train”, uscito nel 2019.

A me questa nuova incarnazione dei Diamond Head soddisfa, perché sono riusciti a reinventarsi senza snaturare il nucleo della loro musica: parliamo sempre di heavy metal di stampo britannico, parliamo sempre di riff pazzeschi, catchy ed energici, eppure l’aura che pervade questi ultimi lavori non è stantia e inutilmente ancorata a tempi ormai passati, bensì è fresca e moderna con un tocco di vintage. Ovviamente, nemmeno dovrei dirlo, le vette dell’originale sono inarrivabili e questo album, sia per fascino che per importanza, le può vedere solo da lontano.

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