ARKONA – Khram

by Metalpit.it Staff

Khram” è il titolo dell’ottavo album in studio dei russi Arkona, uscito su Napalm Records. Questo lavoro è composto da nove canzoni, di cui due di una durata di più di dieci minuti, e rappresenta l’album più cupo, violento, estremo e, se vogliamo, “difficile” scritto dalla cantante e leader del gruppo, Masha.

La copertina si presenta come un artwork sontuoso in bianco e nero, rappresentante un intreccio di allegorie e simboli legati alla mitologia slava, e sembra formare una sorta di tempio (che è la traduzione del titolo dell’album). Ma la particolarità sta nei testi, interamente scritti dalla cantante Masha con il suo stesso sangue e che sono parte di questo cupo artwork. I testi trattano di temi cari agli Arkona come natura, dèi pagani, ma in una sfaccettatura molto diversa dal tipo di sound a cui i russi ci avevano abituai.

Tra le nove canzoni che compongono “Khram” ne spiccano in particolar modo cinque, benché tutte siano canzoni molto valide e belle in modo diverso e a modo loro:

Mantra (Intro)“: l’opener dell’album si presenta come una sorta di inquietante invocazione del dio Mara da parte di Masha, eseguita con una voce sinistra e parecchio inquietante, degna dei migliori film con gente posseduta e simili. Il sottofondo è un continuo crescendo di percussioni, misti a uno scacciapensieri e a un coro che, combinati col resto, creano un’atmosfera unica e, appunto, inquietante.
Tseluya Zhizn’“: terza traccia, la più lunga dell’album con i suoi 17:11 minuti di durata. In questa lunga canzone domina un black/pagan/viking in cui a farla da padrona è la sessione ritmica capitanata dal bravissimo bassista Ruslan. L’atmosfera è il più delle volte opprimente, grazie anche alla linea vocale di Masha, che sfoggia un growl più cupo del solito, ma che con dei momenti di clean vocals riesce a creare diversi momenti molto melodici, con dei cori ben piazzati. La vera sorpresa si ha quando in diversi punti del brano si possono ascoltare delle voci infantili, per la precisione i figli della stessa Masha e Sergej Lazar.
Rebionok Bez Imeni“: quarta canzone e seconda per lunghezza con i suoi 11:58 minuti di durata. Anche in questa traccia il basso di Ruslan la fa da padrone, seguito dal batterista Andrej che dà una mano a costruire la struttura della canzone. Questa si rivela come una canzone molto cupa, opprimente e cadenzata, ma nonostante ciò gli strumenti folk e i fiati riescono ad emergere bene. La sorpresa, forse la più bella, risiede nella seconda parte, dove il pezzo sembra assumere una velocità tale da poter essere considerata come una parte speed/thrash, ma rispettando comunque le loro radici pagan metal.
V Pogonie Za Beloy Ten’yu“: sesta traccia dell’album. Si presenta all’ascolto con un pianoforte che suscita uno stato di inquietudine persistente nell’ascoltatore, al quale si aggiungono man mano delle cupe chitarre per poi arrivare al black metal con i vari strumenti al massimo volume. Questa canzone dà all’album un tocco melodico non indifferente, con il pianoforte che torna verso la fine della canzone.
V Ladonyah Bogov“: settima traccia, nella quale spiccano i vari strumenti folk che, uniti a quelli elettrici, riescono a creare delle atmosfere che stupiscono, soprattutto nella parte strumentale centrale grazie alla quale questa canzone riesce a disorientare e, come già detto, stupire glia ascoltatori.

Menzione speciale per “Shtorm” e “Khram“. “Shtorm” è la seconda traccia del lavoro e si presenta come una canzone abbastanza semplice, ma dalla quale traspare la tecnica di Sergej, Vladimir e di Masha stessa. “Khram” è la quinta traccia, ed è una traccia molto blackened pagan, ma con una sezione fiati che ben si amalgama con il resto della canzone. Il caratteristico cantato della frontwoman fa da collante al tutto, alternando come suo solito parti in growl e parti in clean.

In conclusione, “Khram” non è un album di facile ascolto. Inizialmente, può infatti disorientare i fan abituati ad un sound meno aggressivo e cupo del combo russo, ma lo si apprezza a cominciare dal terzo ascolto in poi, nonostante gli Arkona abbiano sfornato l’ennesimo ottimo album, seppur disorientante.

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