Se c’è un chitarrista prolifico e talentuoso sulla scena musicale, questo è sicuramente Mark Tremonti. Sono passati sei anni dall’uscita di “All I Was”, prima creatura del side-project nel quale il Nostro si è sentito libero di sfogare quell’anima metallara che non ha potuto trovare piena soddisfazione nei Creed o negli Alter Bridge. Da allora il progetto Tremonti si è evoluto in un vero e proprio gruppo che con “A Dying Machine” è giunto al suo quarto full-length. Il disco, uscito lo scorso 8 giugno per Napalm Records, rappresenta non solo l’apice della versatilità compositiva del Tremonster, ma anche il primo concept album studiato appositamente come supporto per l’omonimo romanzo scritto in collaborazione con lo sceneggiatore nonché autore John Shirley (Il rock della città vivente, Eclipse, Constantine, BioShock: Rapture).
Per capire lo spirito che anima i testi di “A Dying Machine” è quindi necessario riassumere i punti principali della storia che Tremonti ha sviluppato durante l’ultimo tour con gli Alter Bridge. La trama s’incardina su Stella e Ares, entrambi “Vessels” (androidi biomeccanici concepiti per essere umani perfetti NdR) che, col passare del tempo, evolvono una propria personalità e quindi il libero arbitrio. In particolare, Stella è stata vinta dall’architetto Brennan Gibbons, il quale desiderava una sostituta per la defunta moglie, mentre Ares fa parte della guardia del corpo di ricchi industriali senza scrupoli. Questo spiega perché i testi parlino a volte di amore e amicizia, mentre altre volte si concentrino su distruzione e degenerazione.
Venendo ai brani, “A Dying Machine” offre all’ascoltatore un elaborato mix di heavy metal contaminato sia da elementi thrash, che dagli stilemi di Creed e Alter Bridge. La maggiore differenza rispetto a questi ultimi gruppi risiede certamente nella batteria, finalmente non più confinata ai mid-tempo, e nei riff carichi di adrenalina. Notiamo in questo caso una migliore sinergia tra la pesantezza delle partiture e la componente melodica rispetto a “Cauterize” – nel quale invece vi sono molte sezioni di chitarra davvero troppo estreme rispetto agli orecchiabilissimi ritornelli. La voce di Tremonti inoltre è in continuo miglioramento e prende pure in prestito un po’ della tecnica del collega Kennedy (vedi falsetti) mischiandovi momenti di esaltante aggressività. Manca invece una parte solistica elaborata ed emozionante come nei lavori passati.
L’opener “Bringer of War” è un gradevole pezzo heavy che offre una sferzata di energia immediata coi suoi ritmi alla Motörhead, soprattutto nell’intro e nelle strofe. Con la seconda “From The Sky” possiamo invece apprezzare un esempio della particolarità dello stile tremontiano che qui combina ispirazioni thrash e punk con un ritornello anthemico in pieno registro AOR. E non è l’unico caso. “The First The Last” è la tipica power ballad da telefilm che prende molto dal bagaglio Creed e Alter Bridge. La cosa inedita qui, è forse la leggerezza e la luminosità dei suoni, i quali rendono il ritornello davvero ‘arioso’ nonostante il velo di malinconia sottostante. Molto toccanti i seguenti versi, se pensiamo che a pronunciarli sia un androide:
You are the first the last, now everything is wrong
You are the air I breathe, now all I need is gone
You are the heart that beats within my dying core
You made me thirst for life, you left me wanting more
La più grande libertà, però, Tremonti se la concede con “Take You With Me“, il pezzo più scanzonato del lotto, un racconto di amore e riscatto concentrato in uno spartito Japan Rock. Chi ha confidenza con l’animazione giapponese non potrà fare a meno di pensare alle opening songs di famosi Shonen (altri potranno forse pensare agli ultimi Volbeat). L’indole catchy qui domina su tutto e punta dritto alla voglia di emancipazione di ogni individuo (incredibile notare come nella versione acustica l’arrangiamento presenti accordi tipici dei Creed).
Chi invece preferisce aggressività e riff furiosi potrà trovare piena soddisfazione in “The Days When Legions Burned” e nel suo intro thrash-death, così come in “Throw Them To The Lions“. Nota di merito, infine, per tre pezzi che spiccano per qualità ed emotività, prima su tutte “As The Silence Becomes Me” (il cui mood iniziale tanto ci ricorda “Water Rising” degli Alter Bridge) la quale delizia l’orecchio col suo dialogo tra un pianoforte minimale e la chitarra acustica, e commuove il cuore nel rimandarci a ciò che ha spinto il costruttore dei Vessels a produrre umani artificiali: la solitudine. Ottima pure la titletrack “A Dying Machine“, un agglomerato di emozioni graffianti come la voce dannatamente azzeccata del Tremonster. Conclude questa personale terzina “Desolation“, ballad malinconica che sembra esser stata scritta da Kennedy in persona e fa bello sfoggio dell’estensione vocale di Tremonti. Chitarra acustica e tonalità medio-basse sono qui una vera gioia per le orecchie e arrivano dirette alle zone più sensibili dell’anima.
Ottimo lavoro quindi per il mastermind italoamericano che procede dritto la sua strada verso l’elevazione a leggenda del metal. Attualmente, la cosa che più ci incuriosisce è vedere come il Nostro saprà gestire l’identità dei suoi tre gruppi. Sebbene i brani della carriera solista non siano adatti ad Alter Bridge e – soprattutto – Creed, essi trovano comunque i propri semi embrionali negli ingressi di “Metalingus“, “Isolation“, “Ties That Binds“, “Addicted To Pain“, “Bleed It Dry” e “Island of Fools“. Quando invece Tremonti opta per atmosfere più pacate, riemerge prepotente l’influenza del passato. Il rischio, insomma, è quello dell’autocitazionismo, cosa che tra l’altro sembra aver già colpito gli Alter Bridge (vedi la recensione di “The Last Hero“). Considerato l’alto ritmo di produzione, avrà Tremonti sufficienti idee da spendere per tutti?