I Folkstone sono tornati! Dopo averci lasciati due anni fa con il controverso “Ossidiana”, i Nostri tornano alla ribalta con un full-length fresco, energico e devoto al sound dei primi lavori, ma con un’evoluzione stilistica che li ha resi più maturi con il passare degli anni. All’interno dell’album quattordici sostanziose tracce, facilmente digeribili, che suonano dirette e (forse) anche un po’ troppo semplici per chi conosce bene la band lombarda.
A muovere i fili dei bergamaschi c’è il mastermind Lorenzo Marchesi, con la sua voce roca e piena di pathos. Le sue liriche questa volta diventano più introspettive e con uno sfondo abbastanza nichilista, volte soprattutto ad aprire gli occhi agli ascoltatori. Il suo obbiettivo è quello di far sì che un individuo si ponga delle domande su ciò che lo circonda, su ciò che è sbagliato ma che nessuno ha il coraggio di farlo notare. Un chiaro esempio di tutto ciò è “La Maggioranza”, con il suo testo cantato da Lorenzo in maniera rabbiosa, incazzata e totalmente menefreghista. Mi sento di citare i seguenti versi, che quasi sicuramente hanno tutti i presupposti di diventare il cavallo di battaglia durante i live: “Ma io me ne sbatto il cazzo e sputo un po’ più in là. Prendo a calci in culo il mondo mentre brucia la città”, parole forti che arrivano al nostro udito come se fossero un maglio.
Un elemento che assume notevole rilievo nell’album è anche la presenza ai microfoni di Roberta Rota, che rende notevolmente più delicato qualche pezzo. L’album parte a bomba con “Astri”. I riff puramente heavy e la doppia cassa non ci danno tregua, ma fin da subito si percepisce qualcosa che non funziona completamente. Il comparto sonoro grezzo sulla batteria fa perdere di mordente all’album, ma ciò viene compensato con delicati passaggi acustici presenti in quasi tutte le canzoni. Un must del lavoro sono senza ombra di dubbio i singoli “Diario di un Ultimo” e “Elicriso (C’era un pazzo)”. La prima è una classica canzone alla Folkstone con chitarre in secondo piano e chiassose cornamuse che prendono il sopravvento. La seconda, invece, da cui è stato anche realizzato un videoclip, è molto più innovativa: qui entra in gioco Roberta Rota che duetta con Lore con una spaventosa naturalezza ed espressività vocale. Il testo è tutto un programma: una storia d’amore fra una donna ed un clochard. Una soap-opera medievaleggiante. E proseguiamo con la quinta traccia, “Naufrago“, introdotta da un delicato e nostalgico inserto acustico e, successivamente, finalmente un assolo in stile “Heavy”, ma troppo breve per essere annoverato tra i punti salienti dell’album.
Un altro pezzo che mi ha colpito in particolare è stato “La Collina”, una bella cover composta da Francesco Guccini con dei testi dal tocco evocativo. Se non ci credete chiudete gli occhi e immaginate di ritrovarvi nella sperduta campagna in un nebbioso pomeriggio e, all’improvviso, vi si para davanti al vostro cammino la fantomatica Collina che il testo cita e voi siete in procinto di salire sulla cima per stupirvi ancora una volta delle infinite meraviglie della Terra. Proseguendo nell’ascolto dell’album ci si sofferma con ovvia naturalezza su una luminosa perla che splende fra tutte le altre, “Spettro”, una bellissima ballad nostalgica e dolorosa, quasi quanto è doloroso quando si spezza una promessa d’amore: per l’occasione funziona molto bene anche questa volta inserire Roberta Rota in un duetto con Lorenzo. Aggiungiamoci ancora altri brani convincenti come la ballad acustica “Fossile”, la folkeggiante “Escludimi”, dove compaiono anche i flauti ed infine e “I miei giorni”, brano forse un po’ più sottotono rispetto ai precedenti.
In conclusione posso affermare che si tratta di un album carino, ma non eccezionale, compensando però il solco lasciato da “Ossidiana” che ha reso perplessa una buona fetta di fan.
Sono loro o non sono loro? Certo che sono loro! Siore e siori… i Folkstone!