I Plague sono una formazione attiva da ben nove anni, ma che è arrivata al debutto solo in questo 2020 con “Portraits of Mind” e la sua mezz’ora abbondante di puro death metal. In una scena locale che offre già alcuni nomi di tutto rispetto per il genere, come Dead Congregation e Mass Infection, questo nuovo complesso cerca di inserirsi e di lasciare il segno tramite una proposta classica e dritta al punto, che non offre nulla di innovativo per concentrarsi piuttosto su un tentativo di onorare degnamente la storia di questo stile.
Le intenzioni ci sono, ma il risultato finale risulta rivedibile, in quanto si sente in modo eccessivo il peso della mancanza di personalità della band. Certo, spiegate le volontà dei Nostri non ci si poteva aspettare un disco capace di riscrivere la storia del genere, però si poteva fare di meglio di un lavoro con tanti, troppi, simili, che non è da bocciatura, ma non ci farà nemmeno gridare al miracolo. Ma andiamo con ordine.
Le prime note dell’opener “Intersperse” emanano sensazioni decadenti e misteriose, con un pianoforte rapidamente sostituito dalla chitarra, che si concentra su un crescendo che va a mutare l’atmosfera donandole più aggressività, sfociando poi in una successione di riff spaccaossa che colpiscono con precisione e schiettezza. Immediatamente l’impressione è buona, le scelte compiute convincono e ci mettono poco a entrare in testa, a dimostrare che comunque le fondamenta per il gruppo ci sono, e che l’esperienza maturata in nove anni di carriera, pur non avendo mai pubblicato alcuna produzione in questo lasso di tempo, se non un singolo nel 2014, potrebbe aver aiutato.
Nella prima metà dell’album troviamo le canzoni migliori, come la breve e diretta “Pandemic” e la più articolata “Deranged Madness”, dove spicca l’assolo melodico presente nel settore centrale.
Procedendo con l’ascolto si percepisce quello che è un problema comune dei dischi di questo tipo: i pezzi rimangono fedeli alla stessa strada intrapresa in precedenza, senza accennare a dell’innovazione. Certo, non tutti i dischi possono contenere delle novità, però è tangibile la tendenza che si ha durante l’ascolto a dedicare meno attenzioni a queste ultime composizioni, in quanto risultano velatamente asettiche.
“Portraits of Mind” è un lavoro che convince ma non è in grado di farlo in modo deciso, lasciando l’amaro in bocca per l’occasione non sfruttata dai greci di farsi conoscere nel migliore dei modi fin da subito. Si tratta comunque di un debutto discreto che si farà apprezzare dagli amanti del death metal, e ci permette di essere ottimisti per le loro future produzioni, alle quali servirebbe solo qualche ritocco marginale per ottenere risultati migliori e degni di nota.