Nati dalle ceneri degli Ever Since, gli XAON vedono la luce nel 2014 per volere del chitarrista Vincent Zermatten e del bassista Florian Jacot-Descombes. Il loro primo EP “Face of Balaam” viene pubblicato nell’ottobre 2016, occasione per la quale viene ingaggiato, e poi assunto come membro permanente della band, il cantante Rob Carson. Il sound iniziale spazia dal doom alla My Dying Bride al melodeath in chiave In Flames/Soilwork, e offre all’ascoltatore una buona varietà all’interno delle composizioni senza degenerare nell’incoerenza.
Con il full-length “The Drift“, pubblicato il 15 maggio 2017 per Sliptrick Records, il trio svizzero vira prepotentemente verso un symphonic death/black metal (da alcuni definito dark metal a causa delle varie contaminazioni elencate in seguito) che può ricordarci i Dimmu Borgir più recenti o i Fleshgod Apocalypse (soprattutto nelle orchestrazioni, dato che manca la violenza ritmica che contraddistingue la band italiana). Il sound viene a maturare così un’atmosfera più cupa rispetto all’EP, mantenendo comunque l’alternanza tra cantato pulito e growl, entrambi egregiamente sostenuti dal vocalist. L’opener “Terra Incognita“, col suo coro gregoriano, così come la seguente “On The Nature of Flights“, con un’intrigante sezione di ottoni in sottofondo, fanno subito sfoggio degli arrangiamenti sinfonici che si rivelano piuttosto articolati e ben amalgamati con l’atmosfera dei brani. Su questa linea anche la finale “The Wounded God“, la quale recupera elementi doom ondeggiando tra riff ipnotici e intermezzi martellanti.
Meno incisive, invece, le orchestrazioni che ricorrono in tutte le tracce intermedie. Qui gli XAON optano infatti per un arrangiamento più semplice (archi, piano, synth), votato al supporto della sezione ritmica e che risulta pertanto meno incisivo. Le chitarre e la batteria passano da rullate rabbiose a ritmi cadenzati in maniera prevedibile, fissando nella mente uno schema piacevole ma poco incentivante. E qui forse risiede il punto debole dell’album, poiché pur contando pezzi interessanti come “Khadath Al Khold” e “Zarathustra” – contraddistinto da un’aura magnificamente tetra il primo, da notevolissimi intermezzi symphonic doom il secondo – i brani cominciano a entrare in una soluzione di continuità che non aiuta a catalizzare l’attenzione dell’ascoltatore, se non per brevi tratti. Tale soluzione pare rompersi con “I Writ My Hopes“, brano dall’intro che potrebbe riportare alla mente gruppi come H.I.M. o Poisonblack, ma ormai siamo alla fine del disco e il gruppo pare aver già giocato tutte le sue cartucce migliori. La già citata “The Wounded God” compare troppo tardi per colmare i cali di tensione che la precedono.
A questo problema si aggiunge il fatto che per godere appieno delle orchestrazioni io abbia dovuto selezionare una diversa equalizzazione sia sul player del PC che sull’impianto stereo dell’auto. Leggermente migliore la resa in cuffia, ma molte sfumature non emergono come dovrebbero. Preciso comunque che con queste osservazioni non intendo attribuire una valutazione negativa ai processi di mixing e mastering nel loro complesso, poiché i suddetti si mantengono sempre su buoni livelli. In verità, è l’album in sè a mantenersi su un buon livello, a partire dall’artwork fino ad arrivare al comparto tecnico dei singoli musicisti. Il tarlo che lo vizia è che a rimanere impresse sono soprattutto tre canzoni: il singolo “On The Nature of Flies” su tutti, seguito dalla seconda parte di “Zarathustra” e dalla chiusura di “The Wounded God“.
Tracklist:
01. Terra Incognita
02. On The Nature Of Flights
03. Khadath Al Khold
04. Frozen Shroud
05. Zarathustra
06. Broken Anchor
07. I Writ My Hopes
08. The Wounded Gods