Ritornano i SuidAkrA con un nuovo album a due anni da Echoes of Yore. Si tratta di un gruppo tedesco nato a Dussendorf nel 1994, esordendo l’anno dopo con il demo “Dawn” e pubblicando a raffica rispettivamente un EP e 15 album, incluso quest’ultimo “Wolfbite” che si andrà a vedere. Vengono definiti celtic metal per via degli argomenti trattati, al pari degli Ex Deo (roman metal) o per gli Amon Amarth (viking metal), ma in tutti i casi si tratta di death metal con una robusta componente melodica, come si può riscontrare in gruppi come Insomnium, Finntroll, Ensiferum ed Equilibrium. Si parla quindi di metal pestato con ritmi sostenuti di una batteria incrollabile, chitarre e basso distorti e dediti a riff melodici veloci, in tremolo picking, una voce gracchiante troppo alta per essere growl e troppo bassa per essere scream, e un uso saltuario di strumenti folk quali viole e cornamuse. Si tratta di un album grintoso e potente, composto da nove brani di una durata che va dai 4 minuti ai 6 e mezzo per una durata complessiva di 45 minuti circa.
Tra le canzoni rilevanti:
- The Inner Wolf: seconda canzone. Un brano decisamente melodic death metal, con pochi fronzoli e diversi giri orecchiabili. Dall’inizio alla fine non è altro che un passare da parti più lente ma potenti a parti veloci in tremolo ma melodiche, in un continuo di mazzate costante come le onde del mare.
- Darcanian Slave: terzo pezzo. Anche in questo album si può fruire della voce di Tina Stabel in un pezzo in cui la parte brutale e death metal data da Arkadius strumentazioni, e la parte più melodica e folk di Stabel e strumenti folk, formano un connubio orecchiabile e dinamico, leggermente meno pesante di altri pezzi ma altrettanto grintoso.
- Resurgence: settima canzone dell’album. Senza troppi dubbi il pezzo più melodico e tendente al folk metal dell’album assieme a A Shrine for The Ages, con un contributo netto di flauti, cornamuse e voci corali in pulito. Ma non significa che non abbia la sua carica di mazzate ovviamente.
Dopo 20 anni i SuidAkrA si riconfermano un connubio di melodic death e folk, anche se la prima è preponderante sulla seconda. Rispetto all’album precedente, Echoes of Yore, uscito nel 2019, non ci sono stati cambi significativi nello stile e nel livello di brutalità generale, se non forse un incremento nella componente melodic death metal puro. Non si trovano invece brani strumentali o comunque esclusivamente folk in questo album, come per Otherworlds Collide di Book of Dowth o Rise of Taliesin nel sopracitato Echoes of Yore, il che dispiace ma non crea quel tale senso di mancanza che dovrebbe provocare, probabilmente dato dal fatto che in più pezzi c’è una parte più lenta, in pulito e con strumenti non distorti, che spezza il ritmo. Nel complesso si tratta di un album godibile e interessante, il che per un gruppo con una tale discografia e con 17 anni di attività alle spalle non è così scontato.
Tracklist:
01-A Life in Chains
02-The Inner Wolf
03-Darcanian Slave
04-Faoladh
05-Crossing Over
06-Vortex of Carnage
07-Resurgence
08-Redemption
09-A Shrine for The Ages