Nono album della carriera dei SIRENIA, “Arcane Astral Aeons” è uscito lo scorso 26 ottobre per Napalm Records, circa due anni dopo “Dim Days of Dolor“. Già all’epoca la promozione di Emmanuelle Zoldan da corista a lead vocalist era stato un elemento di grande interesse, sebbene ancora si percepisse la necessità di trovare un nuovo equilibrio nel songwriting. Per tale motivo “Arcane Astral Aeons” si carica delle aspettative di un pubblico che chiede sì gli stilemi del mastermind Veland, ma in una veste rinnovata. Uno dei punti dolenti di “Dim Days of Dolor” era infatti la ricorsività, o autocitazionismo, che nonostante il cambio del timbro vocale impediva ai SIRENIA di offrire una proposta memorabile.
La situazione è cambiata in questi due anni? La nostra risposta è: in parte. Si nota infatti una certa cura nel riempire “Arcane Astral Aeons” di piccole scintille di originalità, soprattutto negli stacchi dove effetti elettronici sapientemente dosati e sporadici arrangiamenti acustici riescono a insaporire melodie a volte scontate. Degno di lode il ricorso, in un alcune occasioni, al francese, il quale per sua natura impone una diversa sillabazione, e quindi una diversa musicalità, cosa di cui i SIRENIA hanno estremamente bisogno. A ciò aggiungiamo alcuni apprezzabili intermezzi Black alla Dimmu Borgir. Il problema è che si tratta, come detto, di scintille, le quali spezzano un’atmosfera complessiva che, come l’uroboro in copertina, tende a mangiarsi la coda.
Andando più nello specifico, Veland e soci partono in quarta con l’opener “In Styx Embrace“, un monumento orchestrale introdotto da cori a tutta potenza. La Zoldan opta qui per un timbro lirico che ci riporta tanto, ma veramente tanto, agli ultimi Xandria. Non fosse per la prima variazione alla Dimmu Borgir del minuto 03:30 e alla successiva sezione in acustico, il brano potrebbe entrare perfettamente in una delle ultime tre pubblicazioni del combo tedesco. La stessa sensazione la si ha con “Queen of Lies“, dove ancora Emmanuelle sfoggia il suo timbro operistico e duetta con Veland, e con “The Twilight Hour“, sebbene abbia un’impostazione più teatrale rispetto a quanto offerto da Heubaum. Segue il singolo “Into The Night“, brano forse un poco banale, ma dal tiro sostenuto.
Il primo singolo uscito, “Love Like Cyanide“, è invece la traccia migliore del disco. Ammiccante e ruffiana come poche, contiene in sé i momenti di maggior leggerezza e di maggior pesantezza di “Arcane Astral Aeons”, creando un contrasto vincente. Le strofe sono delegate alla voce di Yannis Papadopoulos dei Beast in Black, il quale inserisce un elemento Power giusto prima dell’accattivante ritornello di Emmanuelle. Impossibile non cantare insieme a loro, ma non appena la canzone sembra fossilizzarsi su questo botta e risposta, ecco il brusco ingresso di Veland e di un malefico pianoforte che ci riportano inesorabili ai primi lavori di Shagrath e compagni. Azzeccato l’utilizzo del violino solista che accompagna la melodia della Zoldan, per 05:49 minuti di piacere.
La successiva “Desire” risalta all’orecchio per tre motivi. Primo: il francese comincia a farsi presente in modo più massiccio. Secondo: vi sono assonanze piuttosto marcate con “Enjoy The Silence” dei Depeche Mode. Terzo: l’inserimento di una parte folk con piano e fisarmonica a cui succede una breve sfuriata di Veland. L’ispirazione di matrice gallica è il vero valore aggiunto del pezzo, così come in “Nos Heures Sombres” (“Le nostre ore buie” N.d.r.), composta dalla Zoldan e che finalmente ci fa sentire qualcosa di diverso dal solito nel ritornello. Il ritmo moderato e un’innata sensualità la fanno da padrone pur senza far gridare al miracolo. Una menzione infine per “Glowing Embers” e il suo coro alla Epica dei tempi di “The Phantom Agony”. Si tratta di un brano incalzante che raggiunge il suo culmine drammatico al minuto 03:38.
Il nostro parere finale è che “Arcane Astral Aeons” migliori alcuni degli aspetti in cui “Dim Days of Dolor” era stato trovato carente, tra tutti la varietà della tracklist. Altri problemi invece continuano a manifestarsi senza mai essere superati appieno. Le scintille di originalità vengono sommerse da composizioni che ormai risultano anacronistiche, mentre la progressione delle melodie vocali persiste nell’essere ripetitiva e prevedibile. Migliorare su quest’ultimo aspetto potrebbe portare a un vero salto di qualità dei Sirenia. Buona invece la produzione e le qualità delle orchestrazioni, di cui segnaliamo la tendenza (diffusa nel genere) a esagerare con la saturazione e l’editing, ma senza troppo infastidire l’ascoltatore.