Quando si parla di death metal, di sicuro quello dei Purtenance non è il primo nome che ci viene in mente e magari risulta anche sconosciuto ai più giovani. Per risalire alle loro origini bisogna fare un tuffo nel passato di circa trent’anni, quando nel 1992 esordirono con “Member of Immortal Damnation”, diventato poi un classico del death finnico. Un album genuino, senza pretese, registrato male, unicamente frutto della passione ed anche dell’inesperienza di quei cinque musicisti poco più che ragazzi che, assieme ad altre formazioni finniche loro coetanee, crearono quasi inconsapevolmente una nuova maniera di fare death metal. Tuttavia il fenomeno durò poco più di un lustro, già sul finire del 1996 infatti la maggior parte delle band era dichiarata sciolta o aveva completamente cambiato genere. Nel caso dei Purtenance durò ancora meno dal momento che si sciolsero prematuramente nel 1992, appena dopo aver pubblicato il loro primo ed ultimo album. Fortunatamente però negli ultimi anni in Finlandia è tornato un interesse da parte delle nuove schiere di ascoltatori intorno a questo genere. Ciò ha permesso la rinascita della scena, la rifondazione di molti dei volti storici che vengono accostati da band giovani e nuove. Anche il batterista Harri Salo ed il chitarrista Juha Rannikko colsero l’occasione per riformare i Purtenance nel 2012, a distanza di vent’anni. In formazione entrarono il bassista/cantante Ville Koskela e il chitarrista Ville Nokelainen, da allora seguirono altri due album e due EP e la band sembrava aver ottenuto una continuità e maggiore stabilità rispetto al prematuro scioglimento.
Con il nuovo album “Buried Incarnation” uscito il 23 giugno per Xtreem Music si ha un ulteriore cambio di formazione e di ruoli, dal momento che il bassista Tero Aalto entrato dopo l’uscita di Koskela, passa alla chitarra, ed al basso/voce interviene il nepalese Aabeg Gautam della band Dying Out Flame. I Nostri pur rimanendo principalmente legati al death metal non hanno mai nascosto un interesse per il doom, influenza comune a molte band finniche, ma nel caso dei Purtenance è stata valorizzata molto negli ultimi album. Si ha il dubbio se sia più giusto definire l’album come death metal (di sicuro per appartenenza storica) o death/doom, poiché viene sottolineata un’importante presenza di quest’ultimo genere attraverso brani più lenti dalle atmosfere inquiete e suggestive come “Shrouded Vision of Afterlife”, “Shrouded Vision of Afterlife” o “Burial Secrecy” che rimandano alla vecchia scuola di Abhorrence, primi Amorphis e Rippikoulu. Oltre a questo, si segnalano qualche buona canzone sparsa come “Deathbed Confession” ma nulla che rivoluzioni le sorti dell’album.
Nel complesso “Buried Incarnation” è un buon album, certamente molto di mestiere ma che conferma questa volta una tendenza al miglioramento rispetto ai precedenti dischi post-reunion. Nonostante ciò, i limiti sono ancora evidenti: monotonia, sia musicale che lirica. Aabeg Gautam delude le aspettative dietro al microfono, la sua prestazione risulta forzata e molto inferiore se messa a confronto con i precedenti cantanti della band, tutto questo ovviamente ha un impatto sui brani, non particolarmente originali ed anche afflitti dal malus vocale. Sia per la produzione adottata che per il sound portato avanti dai Nostri, l’album risulta anacronistico. Si percepisce una differenza (anche se minima) tra questo disco e molte altre band odierne che tentano di rivitalizzare le sonorità più primitive del genere. Poiché i Purtenance vengono direttamente da quella scuola, da quel modo e quella filosofia di fare death metal genuino, spontaneo, senza sovrastrutture tecniche, a cui hanno contribuito in prima persona negli anni ’90. Chiaramente non ha la stessa vitalità ed originalità di “Member of Immortal Damnation” e se da un lato riceverà l’approvazione tra i difensori ed appassionati dell’old school, è altresì vero che tende a passare inosservato se confrontato con le altre uscite e molto difficilmente ci si ricorderà di lui negli anni successivi.