Buon debutto per i tedeschi Praise The Plague, che propongono con questo “Antagonist” sei canzoni blackened doom di più che buona fattura. L’album è in uscita il 13 settembre per Black Omega Recordings.
La prima canzone, “Inferno“, fa da intro all’album: dopo gli inquietanti effetti di sintetizzatori e pianoforte, i Nostri mettono subito in mostra le loro armi con una batteria pesante e ottime parti di chitarra, richiamando il doom più classico. Lo scream di chiara matrice black metal accompagna gli altri strumenti, definendo quindi l’atmosfera che ci aspetta nelle seguenti canzoni. “Anatomy of Possession“, infatti, segue strettamente la canzone precedente: dopo l’inizio in crescendo intercede lenta, con chitarre di ispirazione black metal rintracciabili in tutto l’arco della canzone. Si distingue, inoltre, per delle parti vocali quasi maniacali e una breve parte centrale molto interessante in cui la batteria si libera dai vincoli di genere, risultando dunque uno dei brani più piacevoli dell’album. Senza dare respiro all’ascoltatore, “Blackening Swarm” parte flemmatica e pesante, risultando più doom della precedente se non per qualche parte di chitarra. Alcuni elementi più melodici donano un po’ di varietà alla canzone, rompendo uno schema che poteva altrimenti risultare ridondante. Forse troppo ripetitiva e monotona risulta invece essere “Minatory Aeons“, caratterizzata da riff lenti e maestosi; nulla però la fa spiccare dalle altre, arrivando a passare solo per un filler. Un’altra lunga e inquietante introduzione presenta “Darkest of Seas“, seguita da una chitarra melodica prima di esplodere in un forte scream. Anche qui, al centro della canzone, una parte pesante e molto interessante cambia le carte in tavola prima del finale quasi marmoreo. La conclusione è affidata alla title-track “Antagonist“, introdotta da chitarre massicce. In questa canzone l’elemento blackened si fa di nuovo più presente: infatti una bellissima parte, stavolta puramente black metal, la distingue dal resto. Gradevole è anche il richiamo melodico già presente in “Blackening Swarm“, in uno strano gioco di sonorità quasi assonanti fra loro.
Tutto sommato, quindi, una buona prova da parte della giovane band, che riesce a mescolare efficacemente i due generi non scadendo troppo nell’uno o nell’altro. La formula rimane circa la stessa per tutta la durata dell’album, ma alcune soluzioni riescono a far risaltare la maggior parte delle canzoni all’ascoltatore. Non rimane che sperare possano promettere qualcosa di più in futuro, dato che le carte ci sono e potrebbero portare ad un’ottima mano.