Dopo un anno dall’ultimo album “Disfacimento”, la one man band Nott ritorna con un EP black metal nudo e crudo, “Vestigium Mortis“, per mezz’ora di gelido ghiaccio infernale. Se nel già nominato album c’erano delle leggere influenze melodiche quasi alla Mgła, qui si ritorna a sonorità primordiali che ricordano i Darkthrone e un’altra one man band, stavolta americana: Leviathan.
Certo, partiamo dal presupposto che se non si è amanti del black metal in primis, questo EP è di difficile digestione in quanto non ci sono fronzoli vari o soluzioni melodiche estese per alleggerire un po’ il macigno diabolico che ci si appresta ad ascoltare. È altrettanto vero che c’è della leggera varietà in ogni singola canzone che uniforma ulteriormente la cattiveria estrema riscontrabile in questo lavoro. Però, se si è alla ricerca di innovazione, si sconsiglia caldamente l’ascolto, in quanto in fin dei conti non c’è nulla di “nuovo” qui, solo quello che molti descriverebbero come “trve black metal”.
L’EP si apre e si conclude con due canzoni strettamente legate fra loro: “Incipit“ ed “Explicit“ sono il continuo l’una dell’altra, entrambe danno l’impressione di essere delle evocazioni al maligno con effetti ipnotici e inquietanti. La prima si distingue per varie voci che ripetono in una sorta di cantilena il titolo di questa produzione, la seconda invece aggiunge una formula in latino che diventa man mano più distorta e timpani solenni, quasi da cerimonia tribale. La prima canzone è quindi “Lifeless Will“, con batterie e chitarre puramente black metal che scatenano tutta la rabbia primitiva che per la verità caratterizzano da sempre i lavori di Nott. Verso la fine della canzone, una breve interruzione e un po’ di variazione dei ritmi e delle soluzioni rallentano un po’ la l’andazzo prima di riprendere a tutta velocità. “Necro Life“ e “Profaner“ si distinguono per ritmi meno folli: la prima mette in mostra delle interessanti parti di batteria che sicuramente distraggono dal blastbeat quasi costante di ogni canzone; la seconda, invece, pur mantenendo un’andatura più lenta, si presenta comunque con un’altra dose di rabbia e malvagità, velocizzandosi in alcuni punti. Di nuovo a ritmi lenti, “Black Cult“ può essere un punto un po’ più debole dell’EP, non avendo nulla per cui distinguersi dalle altre, ma non per questo è da considerarsi un filler. La conclusione è affidata alla glaciale “Heretical Justice“, dove velocità e furore si fondono per un’ultima volta. La parte centrale della canzone rallenta per far spazio ad una parte più calma ma non meno maligna, prima di riprendere così com’era iniziata fino alla fine.
Questo è quindi un EP di tutto rispetto: dato che l’intenzione era proprio quella di richiamare il primo black metal, Nott l’ha fatto non andando a ripescare il meglio delle band più famose, ma solamente rievocando molto bene ciò che era. Un ottimo ascolto per gli amanti del metallo più nero, a sostegno dell’ipotesi che la passione per questo genere non si è ancora estinta.