Cinque anni dopo l’acclamato “Trama!“, la band capitolina Juggernaut rilascia “Neuroteque“, terzo album in studio, disponibile a partire dall’11 ottobre 2019. Il disco è composto da sette brani – sette porte di accesso al Neuroteque, un posto in cui tutto è consentito – nonché sette storie di trasformazione armonica ed emotiva. Lo scenario evocato dall’album sembra quasi fantascientifico, talvolta spezzato da incursioni bucoliche e mistiche; le leggiadre melodie diventano urla, e così la serenità lascia il posto al turbamento.
Come catalogare “Neuroteque”?
Non è un compito facile, ma, in fin dei conti, a chi importa? Non è così necessario dare un’etichetta a tutto ciò che si ascolta: la band narra, come in un lungometraggio, un percorso che potrebbe essere quello di tutti noi. È il lavoro di quattro ragazzi di ampie vedute, che si avvalgono di pochi, fluidi generi per scattare una fotografia che sembra un film. La narrazione strumentale ha tanto da offrire, dal groove di base, iniettato di post-metal, ai passaggi cinematografici e bassi profondi che flirtano con il consistente ribollire dei tamburi.
Vibrazioni primordiali risuonano dal sottosuolo; è la forza della Musica, senza necessità di parola, a far combaciare i pezzi del proprio puzzle interiore. “Neuroteque” può essere sia un ostile tunnel di paura e angoscia, sia una boccata d’aria fresca, un parco giochi in cui gli ormai esperti Juggernaut fanno ciò che gli riesce meglio, consegnando ai fan proprio quello che volevano.
Difficile non rimanere estraniati dalla potenza emotiva del disco, sta all’ascoltatore decidere se varcare la soglia del proprio ego e sentire le basse frequenze nelle proprie ossa. Certo, è innegabile che, per permettere all’album di essere metabolizzato, bisognerebbe concedergli più di qualche ascolto. È affascinante come ogni riproduzione riservi qualcosa di nuovo, un’ulteriore scoperta di noi stessi e di ciò che ci circonda. D’altronde, dal teatro a cielo aperto che è Roma non potevamo aspettarci che questo tipo di lavoro: introspettivo, delicato ma anche groovy e ricco di elementi sorprendenti, teatrali, resi unici dalla maniacale cura al dettaglio che gli Juggernaut hanno prediletto.
Provate ad ascoltare questo disco ad occhi chiusi: si è come pervasi da una sensazione di vuoto, ma anche di leggerezza consapevolezza, il tutto coronato dall’agilità tecnica dei romani, che non ci privano di segmenti più pesanti e robusti, come nel brano “Titanismo“, né tantomeno di melodie contemplative e psichedeliche, come nel caso di “Charade“. Quest’ultima traccia conferisce la stessa sensazione di essere bloccati in un deserto arido, allucinante, in cui lo spettro cromatico del cielo sovrastante si scompone e ricompone in vorticosi frattali.
“Neuroteque” non può essere ascoltato banalmente come sottofondo alle proprie attività quotidiane. È un disco che richiede la totale attenzione, poiché solo la concentrazione ci permette di entrare nell’universo dei Juggernaut. Il songwriting in quest’album è sicuramente degno di nota, e il tutto ha un’impronta analogica, fragile, magica.