Sontuosa, scintillante, inebriante, immensa, sfarzosa, oscura, potente, famigerata, repressiva, militarista. Benvenuti ad Alphaville, la città che rende schiavi. La città in origine descritta dal poeta surrealista francese Paul Éluard nella raccolta Capitale de la douleur del 1926, presa poi come spunto da Jean-Luc Godard per “Agente Lemmy Caution: Missione Alphaville” film del 1965 che conierà il nome, diviene finalmente anche una realtà musicale in “Alphaville”, quarto album dei newyorkesi Imperial Triumphant, in uscita il 31 luglio per Century Media Records.
Con il precedente “Vile Luxury” la band ha iniziato un percorso, allontanandosi sempre di più dalle origini black metal per ricercare uno stile ibrido ed artefatto che si adattasse meglio alle idee future, realizzate poi in quest’album. Se con il precedente disco i nostri si erano impegnati a descrivere la realtà bipolare di New York, “la grande mela che lentamente marcisce”, nel presente album si narra della New York del futuro, finente come Alphaville nell’ipotesi più disastrosa. Una metropoli che schiaccia i propri abitanti in un caos suburbano, attraverso le imponenti architetture avveniristiche che ospitano le élite. Un’oligarchia tecnocratica con il culto per la scienza e la tecnologia che governa la città con coercizione ed iper-razionalità, in una forma di dispotismo illuminato. Viene messo al bando il libero pensiero e concetti individualisti come l’amore, la poesia e le emozioni, sostituendoli con concetti contraddittori o eliminandoli del tutto.
Portal, Deathspell Omega, Thantifaxath, Scorn, sono i nomi meglio accostabili alla corazza titanica del trio newyorchese. Ilya, Kenny Grohowski e Steve Blanco si riconfermano musicisti dalla tecnica inaudita che hanno veramente pochi eguali nella scena estrema. Musicalmente “Alphaville” ripete le classiche sperimentazioni folli già perpetrate in “Vile Luxury”, con un pizzico di ambizione in più e qualche momento jazz-noir di meno. Episodi come l’iniziale “Rotted Futures” o “City Swine” mostrano spunti e trovate chitarristiche tali da rendere paradossalmente orecchiabili le composizioni, turbolente e acrobatiche. Oppure “Atomic Age”, la rappresentazione folle della guerra, elevata ad unica igiene del mondo, come affermava Marinetti nel manifesto futurista. Vista come mezzo per l’affermazione del proprio dominio, supremazia e rivendicazione tecnologica. Entrare nel merito delle composizioni risulta complicato, capisaldi oggettivi come la tecnica ed una visione eccessivamente concettuale rendono difficile da smontare un’opera del genere. Una critica personale riguarda le cover, messe come bonus track, di Voivod e The Residents che deludono le aspettative poiché non raggiungono la stessa qualità contenuta negli altri pezzi. L’errore è stato interpretativo, cercare di adattare al proprio stile un qualcosa di completamente differente non è mai cosa semplice e gli Imperial Triumphant in questo caso hanno creato delle cover mal reinventate ed indigeste.
Questa ossessiva ricerca per l’intelligibilità sonora e la stravaganza, ponendo l’accento su scale dodecafoniche e atonalità, rende l’ascolto atipico, tutto fuorché comprensibile, facilmente assimilabile o gradevole. “Aphaville” è un disco che osa tanto poiché si prende tutto il rischio di tramutare le sue peculiarità in difetti tali da rendere l’opera inascoltabile per la maggioranza delle persone, che sarebbero portate a vederlo come supponente, intellettualoide, prolisso, slegato, sconclusionato. Eppure, lungi dal giudicare l’opera in tal modo, il compito del recensore sta appunto nel trovare il nesso, decodificare ed unire i pezzi fra loro, cosa quasi impossibile se applicata alla musica, ma avendo un approccio più concettuale all’opera, il disegno apparirà più chiaro. Il legame sta nella trama, ciò che rende sensati gli aggrovigli musicali apparentemente muti di significati, intenti a ricreare lo scenario distopico di Alphaville, la situazione desolante di questo paesaggio irrecuperabile, originariamente descritto da Éluard e che qui vede una rivisitazione moderna da parte degli Imperial Triumphant, consacrati ormai come sperimentatori folli, anti-conformisti e dalla visione sempre più contorta.