I Freedom Call sono un po’ come il Paolo Ruffini degli ultimi tempi: tutta energia, buon umore e positività. E proprio come il cabarettista toscano, anche il quartetto teutonico viene odiato o amato senza mezzi termini, creando divisioni tra chi ha voglia di godere di un po’ di allegria e chi, invece, la ritiene puerile.
“Master of Light” è il nono album (in uscita l’11 novembre per Steamhammer/SPV) di una band che propone un power metal classico incastonato nel ciclo dell’eterno ritorno. In quasi vent’anni di attività, infatti, i Freedom Call si sono mantenuti su un tracciato ben definito che non ha mai lasciato grande spazio alle sperimentazioni. La loro formula è quella di una musica coinvolgente, corale, veloce che si lascia ben recepire dall’ascoltatore desideroso di un buon momento di svago. L’esecuzione è perfetta, il mixaggio pure, gli arrangiamenti altrettanto. Perché se c’è una cosa buona dei Freedom Call, una costante nella loro carriera, è la pulizia del suono e la perfetta amalgama di tastiere e chitarre. Il prodotto finale, quindi, può non discostarsi molto dal lavoro precedente (“Beyond“, 2014), ma risultare comunque apprezzabile sia per i fan del genere, sia per chi ci si approccia per la prima volta.
Passando ora alle tracce più interessanti, spicca subito l’opener “Metal Is for Everyone“, un poliedrico inno di aggregazione quanto mai necessario in un secolo di muri e conflitti. Qui lo stacco al minuto 03:00 rappresenta una piccola chicca che si alterna tra palm mute, armonici e cori. Ottima anche la titletrack, “Masters of Light“, il cui riff, sia esso arpeggiato in pulito o convertito in distorto, entra fisso nella mente al pari di una buona filastrocca. Già a questo punto emerge un tratto degno di nota, ovvero il modo in cui vengono utilizzati i suoni orchestrali, tutti quanti sintetici, eppure sempre a tema e mai fastidiosi. Segue “Kings Rise and Fall“, canzone spedita che sfrutta qualche arrangiamento più moderno e ci riporta agli albori del power metal. Ma è “Emerald Skies” a catturare l’attenzione, ancora una volta con un riff accattivante e una strofa voce/basso/batteria che fa buon contrasto con l’esplosione di suono del ritornello.
Da questo momento in poi, si entra nella parte del disco più fantasy e cartoonesca. “Ghost Ballet“, in particolare, è un pezzo destinato a dividere gli ascoltatori, in quanto potrebbe benissimo fungere da ending per un anime giapponese, o da opener per qualche cartone animato anni ’90 (qualcuno ha parlato di Cristina d’Avena con le chitarre heavy?). Digerito questo, il brano risulta davvero gradevole. Stesso giudizio per “High Up“, veramente spudorata nella sua giocosità.
Concludendo, con “Master of Light” i Freedom Call si mantengono coerenti in se stessi e si proclamano, ancora una volta, “Warriors [of Light]” (“Taragon“, 1999; “Eternity“, 2002). Il disco è divertente e ben fatto, il suono è definito e potente. Unica pecca: le tracce migliori rendono di più se estrapolate dall’album perché, altrimenti, si annacquano nel mezzo di dodici brani che, lodevoli quanto vuoi, restano pur sempre una minestra riscaldata. Fortunatamente, a questa minestra viene aggiunto ogni volta un pizzico di spezie che, nel loro piccolo, la preservano dall’essere indigesta.