FIVE FINGER DEATH PUNCH – F8

by Riccardo Basso

“Ragazzi, che ne dite se questa volta ci penso io a comporre il disco e voi vi occupate dei ritocchi?”

Deve essere stato più o meno questo quello che ha detto Zoltan Bathory ai suoi compagni di band quando è stato il momento di comporre “F8“, ottavo sigillo dei Five Finger Death Punch.
“F8” è un disco che sembra voler fare tabula rasa degli ultimi dischi che avevano visto la band americana strizzare l’occhio a sonorità hard rock e alternative metal molto leggere.

L’album si apre con la titletrack, che altro non è che una semplice intro per il primo vero pezzo “Inside Out“, canzone già conosciuta che si sorregge su un riff semplice ma d’impatto, in pieno stile Five Finger Death Punch. La successiva “Full Circle” invece ha sfumature industrial che ben si fondono con la proposta dei Nostri. Per quanto i due brani in questione siano estremamente gradevoli e ben fatti, i pezzi da novanta si trovano più avanti e rispondono al nome di “Bottom Of The Top” e “This Is War“. Questi pezzi corrispondono anche ai più violenti dell’album, soprattutto “This is War“. La canzone in questione è un concentrato di rabbia che si sorregge sull’ennesimo riff assassino di Zoltan Bathory e si rivela uno dei brani più violenti dell’intera discografia della band di Las Vegas. Ovviamente come in ogni album dei Five Finger Death Punch c’è spazio anche per dei pezzi lenti e questa volta ne abbiamo solo un paio: “A Little Bit Off”  e “Brighter Side Of Grey“. La prima è una ballad pop molto cheesy che risulta essere fuori contesto e poco ispirata anche dal punto di vista lirico, mentre la seconda è il classico lentone al quale Moody e soci ci hanno abituati negli anni. Una volta giunti alla fine dell’ascolto di “F8” è impossibile restare impassibili di fronte alla compattezza del disco e alla capacità che ha la band americana di creare un disco di potenziali hit senza la minima difficoltà. Ad eccezione della già citata “A Little Bit Off“, tutti i pezzi risultano ispirati e carichi di quella rabbia che ha contraddistinto la band fino ad “American Capitalist”. È vero, a conti fatti questa fatica non offre quasi nulla di nuovo rispetto al sound classico del gruppo americano, ma quello che fa la differenza è appunto la credibilità del tutto. Una menzione a parte va fatta per il lavoro di Ivan Moody dietro al microfono che suona rabbioso come non mai, basta ascoltare per esempio “Scar Tissue” e i suoi rimandi alle sonorità di “American Capitalist” o la già citata “Bottom Of The Top” dove sembra quasi di sentire Corey Taylor cantare. I testi poi si dimostrano molto profondi e diretti, sembra che Moody si metta a nudo davanti a tutti, come in “To Be Alone” o “Darkness Settles In” per esempio.

Tirando le somme si può dire che, nonostante le vicissitudini degli ultimi anni e i cambi di formazione, “F8” rappresenti una vera e propria rinascita per i Five Finger Death Punch, che finalmente sono tornati a premere sull’acceleratore come alle origini, con la differenza che ora la band è matura e consapevole dei propri mezzi. Sicuramente i fan di quel metal tutto riffoni e arroganza resteranno piacevolmente stupiti da questo disco, mentre i detrattori della band troveranno ancora una volta pane per i loro denti. Innegabile è però che “F8” sia uno dei migliori capitoli della discografia della band di Las Vegas.

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