I Corte di Lunas ritornano con un nuovo album dopo nemmeno un anno dall’EP “The Journey”. Si tratta di un gruppo originario del Friuli nato nel 2009 come cover band di pezzi medievali e tradizionali in chiave rock, pubblicando l’anno dopo l’album “Plaudite ‘sì più forte”, per poi cominciare a pubblicare canzoni proprie con una o più voci femminili in “Ritual” (2012),” The Lady of the Lake” (2015) arrivando all’EP sopracitato e subendo nel mentre dei cambi di membri. La line up attualmente conta 7 musicisti e comprende strumenti quali i classici basso, chitarra, batteria e flauto traverso oltre ai folkloristici ghironda e bouzouki. Il genere è chiaramente folk rock con influenze nell’uso di strumenti medievali da gruppi quali Eluveitie, Apocalypse Orchestra e i connazionali Folkstone, oltre al repertorio musicale tardomedievale su cui ancora si basano, vedendo il riarrangiamento di “Scjaracule maracule” (nota anche con il nome Schiarazula Marazula, a seconda della zona). L’album è composto da 11 brani con una durata variabile dai 3 minuti scarsi ai 7 per una durata complessiva di circa 47 minuti.
Tra le canzoni rilevanti:
- “The Castle of Gemona“: secondo pezzo. Assieme all’intro “Tiare” cantato in friulano è un inizio in grande stile. Una grande voce, gli strumenti “attuali” che creano un supporto su cui gli strumenti “arcaici” e il flauto ricamano una combinazione di suoni molto orecchiabile che rimanda indietro di più secoli.
- “The Devil’s Bridge“: quarta canzone dell’album. Non è stato semplice scegliere un pezzo tra questo, “Vida“, “La Dama Bianca“, e “Tre Fradei“, dato che conoscendone le storie di origine ognuna di loro meriterebbe una parentesi a parte, facendo diventare questa recensione una sorta di saggio breve (ma neanche tanto). La prima parte dell’album è un continuo di pezzi vivaci su cui spicca questo, anche grazie alla voce inconfondibile di Lorenzo Marchesi (Folkstone) che interpreta il diavolo in maniera impeccabile.
- “Scjaracule Maracule“: decimo pezzo dell’album. Si tratta di una rivisitazione della ballata per evocare la pioggia riportata da Giorgio Mainero nel ‘500, ma di certo ben più antica. Di cover e riarrangiamenti su YouTube ce ne sono almeno una ventina, ed è un peccato che per ora non ci sia anche questa, visto che a differenza di almeno metà non cambiano solo velocità e strumenti ma inseriscono anche intermezzi strumentali articolati senza stravolgere l’intonazione (che non è per nulla scontato, anzi), a parte la ripresa della melodia originale verso la fine effettuata in maniera un po’ brusca ma accettabile dal flauto.
Rispetto agli album precedenti, soprattutto ai primi, si è consolidato un loro stile proprio che già si delineava nelle cover. L’EP, che anch’esso merita, potrebbe essere considerato come l’equivalente dei singoli pubblicati come anteprima di un grosso album, ruolo ricoperto da “Tales of the Brave Lands” in maniera egregia. I presupposti, tecnica, composizione, mixaggio, ci sono tutti, e il progetto di raccontare storia e miti del Friuli è molto interessante e ricca di spunti; questo album è un assaggio godibile con pezzi che alternano italiano e friulano all’inglese che rimane la lingua principale. Non rimane che aspettare il prossimo album che, molto probabilmente, sarà una bomba sotto tutti gli aspetti e un modo molto orecchiabile di scoprire o riscoprire la cultura e le origini di una regione dell’estremo Nordest d’Italia.