Sesto lavoro in studio per i Carnifex, band deathcore californiana, anche se questo disco di elementi deathcore ha solo la presenza di chitarre ad otto corde e gli iconici breakdown tipici del genere: infatti la cosa di cui ci si accorge fin dal principio (soprattutto su Drown Me In Blood e Six Feet Closer To Hell) è un’intensissima influenza black metal che pervade tutto l’album. Le atmosfere cupe, gli intrecci tra un chitarrista che tiene la linea melodica e l’altro che esegue lo strumming, la presenza di sintetizzatori come organi ed archi, si mescolano alla perfezione con i clichè tipici del deathcore reso famoso da gruppi come Suicide Silence e Whitechapel.
Se negli loro altri dischi i Carnifex affogavano nella calca assieme a tutti gli altri gruppi della scena –core (e ce ne sono molti), con Slow Death hanno osato e per questo saranno ricompensati. È un disco veloce, lungo 38 minuti, che lascia un solo spazio all’ascoltatore per respirare, ovvero sull’introduzione di Life Fades To A Funeral, e lo si capisce subito dalla copertina: sfondo nero, logo della band e titolo in rosso, un teschio bianco.
Concludendo, Scott Lewis e compagni hanno tirato fuori un ottimo album, che farà impazzire i loro fan più sfegatati e che strizza l’occhio ai puristi del metal più “classico”. Aspettiamo di vederli live in Italia il 16 novembre a Milano per il Never Say Die! Tour assieme a Whitechapel, Thy Art Is Murder, Obey The Brave, Make Them Suffer, Fallujah e Polar.