Probabilmente una delle band più particolari del panorama Metal sono i Botanist, band basata a San Francisco ma i cui membri hanno diverse origini. Il mastermind è Otrebor (militante anche negli Ophidian Forest), che con i Botanist dà una definizione tutta sua al genere Post-Black Metal. La band dispone di una ricchissima discografia, composta da sei album e tre EP, di cui uno split con Palace Of Worms.
Innanzitutto il genere, da loro autodefinito e inventato, è chiamato “Green Metal”, complici i testi fortemente influenzati da temi che riguardano -appunto- la natura. Un elemento fondamentale della musica dei Nostri è la totale assenza di chitarre elettriche; sì, perché gli strumenti scelti dalla band comprendo il dulcimer, l’organo a pompa, basso e batteria; la chitarra elettrica, elemento necessario e protagonista del metallo ma specialmente di quello tinto di nero, non è nemmeno presa in considerazione dai visionari Botanist.
Infatti, un avvertimento è d’obbligo per chi non si è mai approcciato a questa musica estremamente particolare: non è affatto una passeggiata e all’inizio è probabile che la sensazione sia quella di ascoltare dei suoni prodotti a puro casaccio che fanno pure storcere il naso. Ma persistendo, la musica che si va ascoltando si tinge di meravigliosi toni melanconici, tristi ma a volte anche sognanti e speranzosi (un esempio perfetto è “Tillandsia”, dallo split “The Hanging Gardens Of Hell”, la mia preferita). È un viaggio ricco di sfumature che può veramente far volare la fantasia e le sensazioni in un vortice di atmosfere delle più disparate. Il Black Metal c’è ma è solo una parte di un mondo completamente nuovo, tutto da scoprire, che forza i severi confini del genere per estendersi in territori mai presi in considerazione. Sicuramente se cercate una produzione perfetta e nitida è meglio che guardiate altrove: il precetto del “self-made” è perfettamente rispettato a scapito della qualità sonora; certamente però è interessante notare un netto miglioramento nello scorrere dei vari album.
Per quanto riguarda i testi, il protagonista è The Botanist, “Il Botanico”, uno scienziato pazzo che vive in un esilio auto-imposto, il più lontano possibile dall’umanità e i suoi crimini sulla natura. Nel suo santuario, che chiama “Il Reame Verdeggiante”, si circonda di piante e fiori, trovando gioia nella natura e figurando la distruzione dell’umanità. Dal suo trono di Veltheimia il Botanico sogna la fine dell’uomo, che permetterà alla Terra di ritornare di nuovo verde; non solo i testi, ma anche i titoli sottolineano questo filo conduttore: spesso ci si imbatte in nome scientifici di fiori e piante (a volte difficilmente traducibili), il che rende ancora più interessante l’esperimento compiuto dalla band.
In occasione della firma per Aural Music, i Botanist ristampano il loro EP sold out “Hammer of Botany” arricchito di un brano inedito dal titolo “Oplopanax Horridus” (nome di un arbusto volgarmente definito ‘il bastone del diavolo’). In occasione della sua uscita il prossimo 26 aprile, andiamo ad analizzarlo.
“The Footsteps Of Spring” parte subito con una bella parte di batteria e l’atmosfera è già cupa e pesante; il cantato in growl è relegato in sottofondo, il più lontano possibile, lasciando la musica prendere il sopravvento. Le melodie create dal dulcimer in qualche maniera si sposano perfettamente con la batteria costantemente in blast beat, appesantendo le tinte dolciastre create dallo strumento. Un inizio veramente splendido che potrebbe aiutare l’ascoltatore inesperto ad approcciarsi ad un’esperienza completamente nuova.
Segue “Flame Of The Forest”: una nota di dulcimer e la batteria eseguono una parte ritmata e incalzante, prima di sfociare in un’esplosione furiosa; la rabbia e la cattiveria si sentono perfettamente, accompagnata dal growl che rimane però in disparte. Dopo un cambio di tempo e atmosfera, la canzone mantiene però la sua caratteristica di rabbia. Una breve parte dove solo la batteria parla insieme a poche note di dulcimer dà un po’ di respiro, mantenendo però la tensione e anzi, costruendone pure ancora un po’, pronta a sfociare in un altro scoppio che però non arriva. Infatti, quando sembra di essere giunti al culmine, la canzone rallenta di nuovo, mantenendo lo schema finora eseguito, interrompendosi per un attimo e finalmente dando vita ad un incendio nero. L’assenza delle chitarre elettriche nemmeno si sente, tanto funziona il connubio di questi strumenti così inusuali. Nel finale rallenta appena, rimanendo rabbiosa fino alla conclusione.
La brevissima “Upon The Petals Of Flowers” riprende la furia precedente, creando però verso la metà del brano un’inaspettata atmosfera delicatissima e malinconica, mutando di nuovo nel giro di una manciata di secondi. Altrettanto brevemente si conclude, lasciando forse con la bocca asciutta ma regalando un bellissimo interludio.
“Stachys Olympica” (un sempreverde conosciuto come “orecchio d’agnello”) è molto melodica, malinconica e quasi nostalgica. Qui si sente bene l’organo a pompa e delle dolcissime voci corali si uniscono alle danze; un sottile filo d’inquietudine è dato dalla lontanissima voce gutturale. È molto difficile descrivere l’esperienza uditiva di questo brano, complice anche la particolarità dei Botanist; si può dire che nonostante la ripetitività sia un brano affatto noioso, sfaccettato ed interessante, praticamente un brano strumentale.
“Pelargonium Triste”(pianta che non ha vera nomenclatura, della specie delle Geraniaceae) comincia subito con dolci e sognanti note di dulcimer e una batteria incalzante in sottofondo. L’atmosfera creata è quasi spensierata, anche quando arriva la parte vocale, sempre profonda ed inquietante. Quest’ultima poi s’inasprisce, facendo mutare completamente le sensazioni di prima; un momento più calmo fa spazio ad un’altra bordata di blast beat e a poche note ipnotiche. Le due atmosfere completamente dissonanti si alternano, grazie alla linea vocale ed alle sfumature del dulcimer, fino ad una lenta conclusione.
La protagonista suprema però è “Oplopanax Horridus”, lunga quasi tredici minuti ed unico brano inedito finora. Tutti gli strumenti si presentano e si nota subito una certa differenza in produzione: le linee vocali non sono più in sottofondo, ma ben udibili e parte integrante del brano. La canzone si fa strada, inquietante e maestosa grazie a due voci completamente dissonanti fra loro. Rallenta, creando della leggera tensione, prima che la voce lancinante accompagni delle note anch’esse strazianti e tristi. Quest’atmosfera permea il brano, che acquista però sfumature dolciastre e malinconiche; il viaggio che ci si para davanti è variopinto, è davvero difficile descriverlo senza aggiungere le immagini che queste melodie richiamano alla mente. Esplode quindi in un furioso blast beat dopo una breve parte in cui le due voci discordanti si fanno avanti; ritornano poi, lasciando di nuovo parlare gli strumenti. Un’interruzione a metà brano cambia tutto, una voce bisbiglia appena; riprende quasi volendo tentare del Doom ma ritornando ancora al dolore e alla disperazione precedente. Il brano muta di nuovo, sembra di far girare molto lentamente un caleidoscopio; non a caso ritorna il piccolo coro dissonante, stavolta accompagnato dalla voce in growl e ancora tutto si trasforma. Nel momento di un’altra interruzione mancano solo due minuti alla fine del brano ma il tempo è praticamente volato; si ritorna a ciò che può di più assomigliare al Black Metal, con la batteria che si libra in alcune brevi parti, libera dalla costrizione del blast beat. Ormai giunti alla conclusione, è la malinconia a fare da padrone; la canzone si trascina, piano piano, fino ad un’ultima nota finale.
Nel suo insieme, “Hammer of Botany + Oplapanax Horridus” è veramente splendido; il brano inedito è un cammino inaspettato e imprevedibile nel pazzesco mondo del Botanico, un’esperienza assurda e che probabilmente potrebbe lasciare molto storditi. Per chi già conosce i Botanist sarà sicuramente un’uscita imperdibile; per chi non li ha mai sentiti consiglio molta pazienza, ma con la rassicurazione che ne varrà veramente la pena. Non resta che augurare ai Nostri tutta la fortuna migliore dopo il sodalizio con Aural Music, nell’attesa di un prossimo album che possa ancora di più esplorare il Reame Verdeggiante e le sue melodie folli.