I Bongzilla nascono a metà anni Novanta in un’ostile atmosfera di proibizionismo e conservatorismo culturale. Allora erano già in atto alcune riforme sulla marijuana ad uso terapeutico, ma farsi le canne era ancora un fenomeno subculturale, e il satanic panic degli anni Ottanta non era di certo svanito nel nulla. Dunque, i fattoni e i metallari avevano in comune una legittima ragione per essere indignati. I pionieri californiani dei KYUSS, SLEEP e ACID KING avevano già iniziato a piantare i semi di un nuovo strain di heavy music, che incorporava toni saturi, riff Iommiani e un insolente appetito per la cannabis. Questo stile ha successivamente proliferato negli States, anche grazie all’enorme contributo dei BONGZILLA.
Sempre in prima linea, i Nostri hanno fatto decollare l’entusiasmo verso la cannabis e i giochi di parole con canzoni intitolate “H.P. Keefmaker” e “666Lb. Bongsession”, e sono presto diventati la ghignante caricatura dell’assurda autoreferenzialità dello stoner metal. Quando “Amerijuanican” fu rilasciato nel 2005, la band aveva già messo in saccoccia quattro full length, tre EP e sei split. Era ormai da tempo che si pensava che quello sarebbe stato l’ultimo nuovo materiale che avremmo ascoltato dai BONGZILLA, ma dopo una pausa di sei anni, la band ha ripreso ad esibirsi dal vivo nel 2015. Altri sei anni e finalmente “Weedsconsin” è qui: per il loro quinto album, i pionieri del Weed Metal si sono affidati all’etichetta nostrana Heavy Psych Records, la quale ha optato per uno strategico release in data 20 Aprile (4/20 sui calendari d’oltreoceano).
“Have you heard everyone is talking about that herb?” ringhia il cantante Mike ‘Muleboy’ Makela all’aprirsi dell’album con il singolo “Sundae Driver”. Qui si parla di puro e soddisfacente riffing stoner metal, senza pretese o complicazioni. É rimarchevole che i BONGZILLA siano riusciti a produrre un album così fedele alla loro essenza originale senza adottare formule estranee al loro genere, che, tra l’altro, hanno contribuito essi stessi a sviluppare. Le sei tracce dell’album sono lunghe, ma non abominevolmente; il ritmo è rilassante, ma non soporifero; il tono è crunchy, ma pur sempre nitido.
I BONGZILLA avranno sicuramente una ricetta segreta. Ciò non esclude, però, che ci siano piacevoli sorprese: “Free The Weed” erra verso un quintessenziale doom Sabbathiano, mentre “Space Rock” flirta con la psichedelia, seppur senza allontanarsi troppo dal suo nucleo. Il climax del lavoro si raggiunge con l’imponente “Earth Bong/Smoked/Mags Bags“, quindici minuti ricchi di momenti interessanti: pause rigeneranti, assoli sazianti e hook memorabili. Con “Weedcsonsin”, i Nostri ci hanno regalato dell’ottimo materiale, al di sopra delle aspettative e probabilmente anche meglio di alcuni lavori precedenti. Questo non è solo un grande ritorno per il trio, ma è una collezione di pezzi di tutto rispetto.
L’album tramonta con il sound più oscuro di “Gummies”, un outro one-riff che trasuda doom. La cultura della cannabis ha fatto passi da gigante in loro assenza, ma i Nostri hanno ripreso esattamente da dove si erano fermati. Il trio è ancora capace di scrivere riff spacca-bong e groove potentissimi, caratteristica che è rimasta invariata sin dalla loro fondazione. Sinuose jam blues, accompagnate da un amplificatore tweed e un’immancabile tanfa di ganja: questi sono i veri BONGZILLA.
Tracklist:
- Sundae Driver
- Free The Weed
- Space Rock
- The Weedeater
- Earth Bong / Smoked / Mags Bags
- Gummies