I nostrani Anguish Force tornano con la loro settima fatica in studio intitolata, per l’appunto, “Chapter 7“, dove offrono dell’heavy/thrash metal old school ben bilanciato.
L’album parte immediatamente con la title-track, una strumentale interessante piena di assoli pazzeschi che dà all’ascoltatore un primo assaggio di cosa si può trovare nel resto dell’album, risultando d’effetto e molto godibile. Un riff quasi d’ispirazione punk introduce “Karma’s Revenge“, una canzone thrash in piena regola che sembra richiamare sicuramente soluzioni già presenti nella loro precedente discografia. Una certa lentezza e linee vocali più crude e taglienti caratterizzano “Don’t Lose the War“, sicuramente più sul fronte heavy dello spettro; convince abbastanza perché aiutata da un bell’assolo. Si torna al thrash con “The Other 11 September“, forse anche un richiamo alla canzone “11th September” presente nel loro album di debutto: musicalmente si distingue per una certa velocità ed un intermezzo composto da una parte di basso e un assolo che spezzano bene una canzone altrimenti abbastanza piatta. Anche “Planned Earthquake“ risulta nell’insieme senza particolari rilievi, nonostante un riff molto carino e una parte centrale old school thrash di tutto rispetto. “Under the Streets“ risalta sicuramente fra le altre innanzitutto per l’introduzione con una bella parte di basso (e questo strumento risulta predominante, udibilissimo per tutta la durata della canzone), ma specialmente per un certo feeling NWOBHM che la permea, quasi di ispirazione Priestiana. Il thrash ritorna con “Waiting for the Call“, una canzone abbastanza banale ma che rientra perfettamente nei parametri di genere. “The Punishment“ ci trasporta nel mondo arabo non solo per l’introduzione ma anche per la soluzione melodica iniziale, prima di continuare con una cavalcata a là Iron Maiden (quasi di richiamo a “Powerslave”) che stravolge completamente le aspettative. La formula, comunque, rimane la stessa per tutta la durata della canzone. Una sferzata di puro thrash attende l’ascoltatore con “The Book of the Devil“, prima della lunga “So It Was“. Dura ben nove minuti: per la prima metà è lenta e triste, portatrice di una certa malinconia, a lungo andare però noiosa; dopo la parte centrale prende velocità continuando come una canzone heavy metal. La conclusione dell’album è affidata ad una cover, “Thunder in the Thundra“: nulla da dire in riguardo se non che è una cover ben riuscita.
Due piccoli dettagli non sono comunque da trascurare: il primo è che nella maggior parte delle canzoni è udibile un certo rumore di sottofondo che sporca il suono generale, il secondo invece è che a lungo andare (ed è una caratteristica purtroppo presente anche in altri capitoli della discografia del gruppo) i riff fanno presto a diventare prevedibili o già sentiti. Senz’altro, però, anche in quest’album sono presenti assoli veramente belli e che spesso salvano canzoni altrimenti poco scorrevoli, e buona parte dei ritornelli sembrano studiati per delle splendide esibizioni live. Tutto sommato è quindi un buon album, che soddisferà sicuramente i fan del gruppo e gli amanti del genere.