In attesa dell’imminente uscita del loro primo full-length, gli Akathisia ci offrono un assaggio delle proprie capacità con l’EP “First Impact“, lavoro totalmente autoprodotto che lascia intuire grandi potenzialità.
Fondato nel settembre del 2012, il sestetto parmense è composto dai fratelli Fiorella (voce, tastiere) e Dario (già produttore e ora subentrato a Eleonora Menegalli come bassista) Manfredi; da Davide Bellagotti (voce), i chitarristi Marco Ceresa e Mattia Ceci, e Paolo Copeta alla batteria. Il genere proposto è un doom metal con forti connotazioni black-death e che non disdegna qualche incursione nel gothic, ossia un mix poliedrico di influenze che i Nostri riassumono oggi sotto l’etichetta di Post-Death Doom Metal. Giusto per fare qualche paragone, l’ascoltatore potrà trovare elementi assimilabili a gruppi come The Ocean, Swallow The Sun, Isis e i primissimi Tristania (cori gregoriani esclusi). Il nome Akathisia, invece, deriva da una sindrome psicomotoria che si denota per una continua irrequietezza che impedisce al paziente di stare fermo.
La opener “Paranoid Delusion” inizia con un arpeggio di chitarra tetro e melanconico, che cresce d’intensità fino a esplodere nell’epico riff al minuto 01:22, dal quale poi erompe il growl massiccio e ben impostato di Davide. Ai ritmi duri che qui s’innescano e al successivo ritornello segue poi uno stacco al 03:27, forse troppo netto, il quale ci riporta sui toni melanconici sopracitati, accompagnati da un assolo perfettamente a tema e un “tristanico” duetto in cui sentiamo per la prima volta la clean voice di Fiorella, soave nella sua linea melodica. A livello di songwriting, il tema centrale è quello di un’anima delusa, divorata dai rimorsi ormai divenuti ossessioni: ‘ghost ambassadors of senseless pain’ (metafora molto apprezzata, n.d.r.).
Un pianoforte triste e sadico apre invece le danze di “Everlasting Loop“, canzone che racconta del circolo vizioso in cui il dolore emerge puntuale, ogni volta, a distruggere quel momento di viva felicità faticosamente conquistato. Il punto forte qui, oltre al bel riff delle chitarre nella strofa, è ancora una volta il duetto, questa volta ancora più carico di pathos perchè Davide sussurra mentre Fiorella lo avvolge con un’impostazione più marcatamente lirica. Di contro, il punto “dolente” sta forse nell’eccessiva lunghezza (personalmente, la canzone avrebbe potuto chiudere attorno all’ottavo/nono minuto, ma avrebbe perso alcuni versi importanti che danno sostanza al contesto, quindi accetto la soluzione della band).
Ad “Anhedonia“, ovvero l’incapacità di provare piacere in situazioni che normalmente lo provocherebbero, spetta infine il compito di completare il trittico e lo fa con un inizio diretto, piacevolmente “catchy”, a chitarre e tastiere spianate. Nel prosieguo, però, la tensione sembra non mantenersi costante. Qui probabilmente sono da rivedere i passaggi dalle parti più pesanti e quelle più lente, giacché l’alternanza tra di esse non forma un amalgama del tutto ottimale, e certe linee melodiche che, nell’insistere su poche note, rischiano di apparire scontate. Ciò non toglie al finale in doppio growl di risultare veramente godibile e d’effetto.
In conclusione, mi complimento innanzitutto con Dario Manfredi che, da completo autodidatta, ha tirato fuori un prodotto di qualità superiore rispetto a tanti altri che si fregiano del titolo di “studio di registrazione”. A lui si può rimproverare solo il fatto di non essere riuscito a mettere un po’ più in risalto le voci, le quali vengono ogni tanto sovrastate dagli altri strumenti. Bravi anche i compositori/esecutori, sia per i duetti a me molto graditi, sia per certi riff e stacchi che mi suscitano la voglia di rispolverare la mia sei corde per suonicchiarli. Nel complesso, un primo impatto molto buono per gli Akathisia, una prova di versatilità e sostanza che aspettiamo di vedere a completa maturazione nei successivi lavori.