The Ember, The Ash è il nuovo progetto musicale del polistrumentista canadese 鬼 (Oni; orco o demonio in giapponese). Già impegnato con Unreqvited, dove si fa portavoce di un sound shoegaze/post-black metal, con questa nuova proposta scende brutalmente nel DSBM degli anni ’90/primi 2000. Questo non certo senza un tocco di atmospheric decisamente inaspettato che rende la proposta molto interessante.
La qualità di produzione non è delle migliori, ma forse da questo genere di album non lo si può nemmeno pretendere: un esempio su tutti la batteria è lontana e quasi ovattata, che nel complesso genera un effetto anche particolare che non stona con i sentimenti che suscita l’ascolto.
I richiami presenti in “Consciousness Torn Form The Void” sono abbastanza ovvi, dato che il primo che fa venire alla mente ascoltando questo album è la one man band Leviathan; un richiamo di tutto rispetto che forse per alcuni tratti può fare il verso al musicista americano. Prendiamo come esempio la canzone introduttiva dell’album, ovvero la title-track: dato che io apprezzo particolarmente i lavori di Leviathan, sembra davvero che sia un brano fuggito alla sua discografia. Basti nominare il riff inquietante di tastiere all’inizio, che ritorna altre volte nello svolgimento del brano, il black metal glaciale e le urla di dolore straziante, sentimento ulteriormente amplificato da un intermezzo ancor più gelido accompagnato da un bell’assolo. Sarà forse per questo che il brano però non è completamente da bocciare: sono nove minuti di tormento assoluto, in cui si distingue anche un momento molto più lento che scende quasi nel silenzio totale, parla solo la chitarra e un coro campionato. Non fatevi fregare da quella che sembra la conclusione del brano: c’è ancora un minuto di violenza da sfogare prima della vera fine.
Segue la più bella dell’intero album, una bomba atomica di freddo e rabbia pazzesca: “He Who Wove The Stars And Moons”. Comincia quasi in sordina, un lungo riff oscuro e pesante lascia spazio ad chitarre vorticose e ipnotiche, dove il basso si fa notare per qualche momento prima della prima esplosione. L’headbang è quasi d’obbligo sin da subito, con dei cori campionati a rafforzare un black metal cattivissimo che soddisferà i grandi nostalgici. Viene dato dello spazio anche ad un solitario pianoforte, forse nel tentativo di ingentilire o inquietare ulteriormente l’ascolto. Un breve attimo più calmo a metà è solo un’illusione prima che si ritorni alla violenza pura. La conclusione viene affidata invece ad un lungo momento atmospheric, la chitarra acustica fa parlare la sua malinconica voce creando una contraddizione stupenda. Brano personalmente imperdibile.
“Directive” comincia delicata e triste, spaziando quindi in un DSBM quasi lirico, sottolineato infatti dai cori e dal pianoforte in sottofondo. Se possibile la voce si fa qui ancora più disperata, mentre la musica si fa più veloce e violenta, ma non meno intensa. I due lati si fondono e confondono, fino ad un finale da brivido dove solo la voce parla in mezzo ad una coltre di terrore e oscurità fatta dalle tastiere, che si da sempre più lento e sinistro.
La strumentale “Restoration” viene rappresentata proprio dal titolo: è un idilliaco momento di pausa, affidato ad un coro quasi angelico ma dal sapore funesto, come suggerisce l’improvviso e momentaneo cambiamento di tonalità verso il concludersi del brano.
“Creature Of No Mass” fa visualizzare immediatamente una massiccia nevicata, e come questa è infatti delicata ma pesante, malinconica e triste. Questa pesantezza va aumentando, aiutata anche dalla doppia cassa della batteria che aggiunge appena un po’ di frenesia. Anche quando la voce si fa spazio in un attimo di silenzio, questa particolare sensazione non sparisce; ad ampliare ulteriormente i sensi ci pensa un coro maschile soave e delicato. Poco dopo la metà un momento dolcissimo con due chitarre che si parlano, una in sottofondo e l’altra in primo piano, fanno scendere l’ascoltatore nell’inquietudine e nel terrore in un altro momento assolutamente atmospheric. Veramente un bel brano.
La conclusiva “From Marrow To Essence” comincia già con gli artigli ben affilati di una chitarra acidissima, che fa partire infatti un bel brano black metal arricchito di dettagli atmosferici. Bellissima la sezione centrale con delle maestosissime chitarre, che accompagnano un brano che ormai ha assunto delle tinte quasi epic, prima di una conclusione leggiadra ed effimera.
Non sicuramente l’album migliore dell’anno o dello stesso artista, ma veramente un buon punto di partenza per un progetto che potrebbe avere molto di più da dare. La personalità dell’artista brilla con decisione oltre ai richiami più o meno ovvi di ogni brano, sottolineando un’originalità che forse rischia di passare in secondo piano data l’ispirazione presa palesemente dalla one man band più famosa. Merita veramente un ascolto approfondito ed è caldamente consigliato a tutti gli amanti del genere.