Facciamo un passo, anche abbastanza lungo, indietro nel tempo, tornando al 1993, quando una giovane formazione di New York, chiamata Pyrexia, pubblica “Sermon of Mockery”: disco di una cattiveria unica, che non a caso viene ricordato tra i più rappresentativi della scena Brutal Death Metal americana dei primi anni ’90.
Son passati 25 anni dalla sua uscita, ed è l’ora di accogliere “Unholy Requiem“, quinto album degli americani e decima loro produzione considerando anche demo, EP e compilation.
In questi anni i cambiamenti sono stati molti: della formazione originaria è rimasto soltanto il chitarrista Chris Basile, affiancato per questo lavoro da membri di tutto rispetto e ognuno con buona esperienza alle spalle ma, soprattutto, ciò che è successo dopo al 1993 non è indifferente.
Lo stile del quintetto è cambiato nel tempo, ma rimaniamo sempre dinanzi a un Death Metal di pregevole fattura, incapace di rivoluzionare il futuro del genere ma capace di rafforzarne il presente. Se l’aspettativa è una proposta affine a Suffocation e simili come nei primi anni della loro carriera probabilmente rimarrete delusi, ma vista la loro evoluzione ulteriori paragoni sarebbero superflui o comunque da prendere con le pinze.
La partenza è subito decisa, con “Angels of Gomorrah” che mette fin da subito in mostra la forma del gruppo. Se c’è qualcosa che è rimasto immutato nonostante il passare degli anni, questo è l’approccio dei Pyrexia, che nonostante tutto rimane sempre diretto, distruttivo e immediato: il lavoro ha una durata totale inferiore alla mezz’ora; breve, certo, ma ideale, visto il contenuto.
Ci troviamo di fronte a un disco lineare, che in pochi casi prende in considerazione modifiche sostanziose ma preferisce continuare dritto per la sua strada, senza mai annoiare né abbassare il suo livello.
Il continuo susseguirsi di riff è micidiale e spaccaossa, il che si nota in pezzi come “Moment of Violence” e “Path of Disdain“, con il secondo che mostra l’abilità dei Nostri di variare rapidamente tra ritmiche più spedite e altre più lente, senza andare a scalfire l’intensità della proposta.
Il messaggio degli americani è un chiaro e indica come siano ancora una realtà valida da tenere sicuramente in considerazione, che non ha avuto il successo meritato probabilmente a causa di qualche passo falso nel corso della carriera.
Visti i molti dischi interessanti usciti quest’anno c’è il rischio che questo “Unholy Requiem” non riesca a eccellere, ma non è nemmeno da scartare, anzi, è una buona prova di solidità che verrà sicuramente apprezzata dagli amanti del genere che non si aspettano un “Sermon of Mockery 2.0” ma sono disposti a sentire l’evoluzione del quintetto.