Italiani al 100% sono i Windshades, band nata nel 2015 in provincia di Mantova e che ha debuttato lo scorso 18 Novembre con il primo EP Crucified Dreams. Il quintetto offre un power metal piuttosto elaborato nelle ritmiche e negli assoli, il tutto sostenuto da una voce femminile con impostazione lirica (Chiara Manzoli). Questo riporta l’ascoltatore ai tempi dei primissimi Nightwish – quelli che strizzavano l’occhio agli Stratovarius – anche se, a differenza del gruppo finlandese, i Nostri non fanno uso di tastiere preferendo creare sinergia melodica tra le due chitarre (Matteo Usberti e Riccardo Soresina).
L’EP, registrato all’Atomic Stuff Recording Studio di Isorella (BS) e prodotto da Oscar Burato, si compone di tre tracce dai tempi sostenuti nelle quali si cerca di mettere in risalto le doti vocali di Chiara e il lavoro ragionato del comparto ritmico. Non utilizzando suoni orchestrali, infatti, le chitarre non possono lasciarsi andare ai semplici power chords, ma devono essere melodiche per stare in tema con il cantato lirico. La maggiore nota di merito dei compositori sta proprio in questo: nell’essere riusciti a creare riff trascinanti nelle strofe. “Resurrection“, in particolare, offre una partitura che sarà ben gradita a tutti gli amanti delle sei corde. Non mancano inoltre piccoli abbellimenti e tecnicismi (vedi la titletrack “Crucified Dreams“) ben contestualizzati, così come assoli importanti nella seconda metà di ogni brano (da segnalare tuttavia qualche incertezza che porta alcune note a non essere del tutto intonate). Precise le parti di batteria e basso.
Per quanto riguarda la voce, Chiara dimostra buone doti esecutive e si distingue dalla Tarja dei tempi d’oro per un timbro più fine e una minor potenza nelle note più acute. La prestazione è costante per tutta la lunghezza dell’EP, anche se si chiederebbe una maggiore varietà nella composizione. L’abuso di note lunghe può risultare infatti un po’ noioso, e questo problema emerge soprattutto in “Resurrection“, dove la strofa cantata non è al livello di quella chitarristica. A ciò si aggiunge il modesto ricorso a cori e controcanti, i quali sono imperativi in mancanza del supporto orchestrale. Non a caso, quando i Windshades li impiegano, è il pezzo intero a giovarne.
Non propriamente Symphonic, non completamente Power, il punto critico di Crucified Dreams è la produzione. Editing e mixaggio si ripercuotono negativamente sul suono delle chitarre, scialbo soprattutto negli assoli, e sul basso che, in certi frangenti, è persino troppo alto. La sensazione generale è che ciò che dovrebbe avere risalto non lo ha; ciò che dovrebbe avere potenza viene sempre smorzato da qualche difetto di regolazione.
Sul versante dell’originalità, infine, vale lo stesso discorso che da anni si ripropone per le band di questo genere. I Windshades sono orecchiabili, ma hanno ancora molto da fare per emergere in un panorama musicale – non finirò mai di ripeterlo – fin troppo saturo. L’augurio è che i componenti, tutti provenienti da tradizioni musicali differenti, riescano a creare un’armonia e una coerenza interna che, unitamente a registrazioni di maggior livello, permettano loro di fare passi avanti.