Anno 2018: la discesa degli alieni è realtà. Dopo aver girovagato in lungo e in largo per lo spazio, aver provato a inviarci messaggi per più di trent’anni, all’inizio molto primordiali ma poi sempre più evoluti e ai limiti della comprensione umana, la razza aliena conosciuta come Voivod aveva abbandonato l’orbita terrestre; le sue apparizioni erano diventate sempre più sporadiche. Tutto ciò fino al 2013, quando la navicella multicolore e multiforme era ritornata a fare capolino nei nostri cieli, per poi diffondersi in ogni apparecchio audio e video con un eloquente messaggio: “Target Earth”.
Cinque anni dopo, gli alieni dell’heavy metal hanno fatto il loro ritorno sulla scena mondiale, e lo hanno fatto in grande stile: dopo aver regalato ai fan un gioiellino di EP come “Post Society”, Away e i suoi compagni d’avventura ci teletrasportano sulla loro astronave per osservare dall’alto la fine della razza umana, soppiantata e spazzata via dal risveglio di una specie aliena sconosciuta e addormentata sui fondali marittimi da millenni. Ma il titolo di quest’album racconta molto di più: non parla solo del concept, ma si riferisce agli stessi Voivod, che si presentano in forma stellare.
“The Wake“non è l’ennesimo album voivodiano straniante, spiazzante, che spazia tra innumerevoli sottogeneri, avanguardistico. “The Wake” è molto di più: è la conferma e la celebrazione della carriera ultratrentannale di una band che ha raccolta meno successo di quello che avrebbe meritato, ma che nonostante ciò è andata avanti contro tutto e tutti. I Voivod prendono le etichette dei vari sottogeneri, le strappano in minuscoli pezzettini che poi ricompongono, creando un puzzle totalmente nuovo e che ai più appare sconclusionato. Voi direte “scontato, sono i Voivod”. Bene: qua la faccenda è terribilmente più seria e complicata.
Molto spesso, quando si vuole descrivere la poliedricità e le innumerevoli variazioni musicali, si utilizza il termine ottovolante: in questo disco, vi ritroverete a saltare da un ottovolante all’altro, senza soluzione di continuità. La pulizia e la positività di “The Outer Limits” vengono spazzate via da riffoni thrash che rimandano al primordiale “Rrroooaaarrr”: ma quando pensiamo che la violenza abbia preso irrimediabilmente piede, ecco che ci troviamo trasportati in una nuova dimensione, dove il sound si fa più cibernetico e schizoide (qualcuno ha detto “Nothingface”?). Ma dato che il concept narra del declino della civiltà umana, non possono mancare le tinte buie ed oscure a descrivere questo tetro futuro (volutamente o no, i Voivod si ricollegano in parte alle tematiche di “Killing Technology”), che ci rimandano a quel piccolo capolavoro dimenticato di “Angel Rat”. Perché tutta questa carrellata di album? Semplice: ascoltando “The Wake” ritroverete ciascuna di queste atmosfere (e anche di più), compiendo un viaggio interstellare di 34 anni in una sola ora.
I Voivod non si limitano a miscelare queste atmosfere, le plasmano a loro piacimento e vengono plasmate dalla storyline. Prendiamo il caso più lampante, “The End Of Dormancy” (tra l’altro una delle punte di diamante dell’album): il risveglio della razza aliena e il contemporaneo assopimento di quella umana sono dipinti con un climax che esplode a due terzi della canzone. Avete presente quel momento in cui la colonna sonora anticipava e poi accompagnava l’entrata in scena del tanto atteso antagonista? Bene, trasportate questa atmosfera nell’universo Voivod e preparatevi al delirio più totale. Delirio che è insito nel titolo di “Orb Confusion” e che viene parzialmente calmato da spezzoni di chitarra acustica; “Iconspiracy” sembra voler portare nota su disco una cospirazione vera e propria, dove riff schizoidi e archi dal suono acido si uniscono meravigliosamente al cantato psichedelico e deviato di Snake. Non mi dilungherò in un track by track, le tracce qui sopracitate servono solamente a focalizzare gli aspetti più evidenti e importanti in questo labirintico ipercubo musicale: chitarre, basso e batteria si intrecciano in dissonanze e riff schizofrenici ma precisi che si intersecano alla perfezione con la tela geometrica composta dalla sezione ritmica di Dominque “Rocky” Laroche e del sempreverde Michael “Away” Langevin. E gli ultimi dodici minuti di questo viaggio interstellare sono la degna conclusione di questa esplorazione attraverso i confini del tempo: “Sonic Mycelium” riassume in un quarto d’ora scarso il motivo per cui i Voivod siano a tutti gli effetti degli alieni e ne vadano fieri. Ogni strumento si scatena, i musicisti danno libero sfogo alla loro vena creativa creando una vera spaccatura temporale e dimensionale: qua le parole non potranno mai descrivere il delirio ragionato di questo brano, che si dipana infine in una chiusura acustica, quasi eterea, presagio di come questo possa essere l’ultima e definitiva discesa degli alieni… (?)
Probabilmente, dalla recensione avrete già capito che troviamo di fronte a un gioiello raro: da tempo i Voivod non sfornavano un disco del genere, un disco che non raggiunge le vette di “Nothingface”, “Dimension Hatross” e “Phobos” (a mio modestissimo parere la top 3 della band) ma che si candida ad essere non solo album dell’anno, ma uno dei migliori di questo lustro musicale e soprattutto uno dei migliori cinque della premiata ditta canadese. Ma fare le classifiche non è nostro compito: il nostro è quello di avventurarci con Snake, Chewy, Away e Rocky nella loro navicella che ha oltrepassato lo spaziotempo, regalando a noi umani un’ultima gioia prima dell’apocalisse.