Mescolare al technical death metal per cui si è famosi globalmente un black metal maligno che sembra infinitamente distante dalle solite soluzioni proposte dal genere non è una mossa da compiere con troppa leggerezza. Un cambiamento così netto e inaspettato rischia non solo di sorprendere, ma anche di indispettire i fan: non si può pensare che sia banale mettere a proprio agio un ascoltatore medio di tech death in un ambiente così soffocantemente black o riuscire a plasmare le canzoni bilanciando perfettamente l’aura di oscurità di un genere con i tecnicismi dell’altro.
Eppure si può fare; eppure gli statunitensi Vale Of Pnath suonano esattamente quello che si dovrebbe pensare quando si pronuncia lo scioglilingua che è “blackened technical death metal”, trasformando i caratteri che li contraddistinguevano con una nuova veste nera e inquietante, che li rende ancora più unici.
“Accursed” si tratta in realtà di un EP, non di un vero e proprio full-length, cosa che potrebbe far pensare a questo come solo un gradino di passaggio nel loro sound, non qualcosa di pienamente maturo, ma ascoltandolo ci si rende conto che i cinque di Denver hanno sfoderato un monolite, capace non solo di rimanere graniticamente concluso in sé stesso e quindi di intrigare profondamente l’ascoltatore, ma anche di porsi ad un livello tale da suggerire un futuro sviluppo del genere (attualmente non particolarmente fertile) su queste coordinate.
A parte l’opener “Shadow and Agony” e l’interludio “Audient Void” che sono tracce atmosferiche e di transizione (e che a dire la verità non creano un vero climax per la canzone successiva), i cinque pezzi rimanenti si lasciano ascoltare su vari livelli e su ognuno danno il loro meglio: si può partire da un ascolto distratto, lasciandosi “cullare” dalle cupe melodie e dal grido tagliente di Deeter che danno il colore black metal all’album, oppure si può scavare tra gli iniqui sapori di ogni canzone e scovare le perle nella composizione e nei dinamismi di ogni strumento che fanno brillare la release. Gli intrecci di chitarra di Valenzuela e Patuto si incastrano come magicamente con i folli pattern di un instancabile Eric Brown alla batteria e Andy Torres al basso e vanno a costruire l’ossatura di una immane bestia ibrida sulla quale è posta come corona la voce lacerante di Reece e come drappo funereo le orchestrazioni e le parti atmosferiche che lasciano respiro al songwriting.
“The Darkest Gate” è la canzone più direttamente black metal e si contrappone alla title track che esalta invece la matrice tech death, mostrando i punti più estremi ai quali arriva l’EP riguardo ai due generi tra i quali sconfina. Essendo poche tracce i Vale Of Pnath sono riusciti a condensare una particolare caratteristica in ogni canzone, rendendole tutte memorabili ed estremamente dinamiche, mai monotone o ripetitive. Legandosi ai vari “breakdown” che colorano le composizioni con maestria e agli interludi orchestrali, “Obsidian Realm” esce un po’ dal tracciato ed espone il gusto per il groove e le parti di ampio respiro (gusto che gruppi come gli scozzesi Godeater avevano già magistralmente fatto proprio).
Inaspettatamente e terribilmente delizioso, “Accursed” termina sulle note malinconiche e inquietanti di “Spectre of Bone” e si fa largo tra le release di quest’anno con una proposta originale ed accattivante, in direzione di un futuro più scuro e più intrigante.
Chissà cosa ci dovremo aspettare.