Gli Unguided sono una band nata nel 2010 e giunta al debutto l’anno successivo con l’EP “Nightmareland”. Da allora hanno pubblicato vari singoli e quattro album tra cui l’ultimo “And The Battle Royale“, uscito l’anno scorso, che verrà recensito qui. I suoni rendono giustizia al tutto e il mixaggio è soddisfacente, anche se manca un po’ di profondità, ma il punto è il contenuto. Si considerano metal sulla loro pagina, mentre in giro li si può trovare descritti come melodic death o melodic groove; è possibile che abbiano qualcosa di groove, ma la componente principale è alternative, anche se atipico. Con le chitarre leggermente distorte, un uso smodato di synth e tastiere, senza però cadere nel symphonic, e l’alternanza delle voci, una leggera a livello U2 e una in growl degna del metalcore, dare una classificazione precisa non è semplice, ma si può essere d’accordo sulla componente melodic. Come accennato prima, i giri di chitarra e basso sono semplici e scanditi ma sottotono, mentre la tastiera e le voci prendono il sopravvento con le melodie, ma senza fronzoli o assoli. È un album comunque leggero e omogeneo che scorre abbastanza bene, anche perché ha una durata piuttosto limitata: 38.23 minuti divisi in nove pezzi di una durata compresa che si aggira tra i tre e i quattro minuti abbondanti.
Tra le canzoni rilevanti:
- Death’s String: primo pezzo. Batteria scatenata, chitarre onnipresenti, synth di spessore e voci pompate e un po’ concitate, questo basterebbe per descrivere la canzone. Un inizio non male, un poco sproporzionato rispetto ai pezzi che seguono, che non arrivano a livelli interessanti. Come si potrà sentire in tutti gli altri pezzi vi è una sorta di segregazione delle parti leggere, dedicate ai ritornelli e bridge, mentre i riff sono più pestati. Le voci invece sono più spartite tra le due componenti principali della canzone.
- King’s Fall: ultima canzone dell’album. In questo pezzo più che in altri le tastiere sono onnipresenti e fanno da collante tra la voce e gli altri strumenti messi un po’ troppo in secondo piano, perdendo molto in spessore. C’è da dire che il lavoro che c’è dietro, in termini di composizione ed effettistica, è notevole.
Rispetto all’album precedente non ci sono state modifiche sostanziali di stile o di suoni, mantenendo sempre quel genere “con un po’ di tutto”, dal groove al core, fino al pop metal. Gli Unguided non saranno il massimo seguendo la classica suddivisione dei generi metal europea ed americana, ma in alcune parti ricordano vagamente i Crossfaith e le sigle originali dei cartoni animati giapponesi.