THE GREAT OLD ONES – Cosmicism

by Sara Di Gaspero

Cosmicism” è il quarto album della compagine francese The Great Old Ones, dediti ad un ottimo post-black metal totalmente ispirato alla produzione dello scrittore americano H. P. Lovecraft. Non a caso quest’album si apprezza molto meglio accompagnato dai suoi testi. Quello che si va ad ascoltare quindi è poco meno di un’ora di orrore nero e gelido, spalmato in sette brani.

Passando al lato puramente tecnico, non c’è molto di nuovo rispetto a quanto proposto nei tre album precedenti, eppure c’è qualcosa di personale e nuovo che fa brillare “Cosmicism” sulle produzioni degli anni scorsi. 

L’album si apre con la strumentale “Cosmic Depths”, e il titolo la descrive benissimo: comincia il viaggio negli antri oscuri dell’album. Chitarre leggiadre e minacciose volteggiano su inquietanti tappeti di tastiere.

The Omniscient” comincia quasi in sordina, veleggiata di malinconia, ma pian piano prende forza, creando le basi perfette per la vera partenza del viaggio. Le armi sono ben affilate sin dall’inizio, anche quando il brano rallenta fino a fermarsi. Le chitarre qui parlano da sole, accompagnate da una sezione parlata, anzi bisbigliata, aggiungendo uno primo strato d’inquietudine. Il brano riprende forza, esplodendo in quello che potrebbe essere praticamente descritto come un breakdown pazzesco, da headbang assoluto. La canzone si trasforma di nuovo, assumendo connotati più caratteristici del post-black; anche qui l’headbang è praticamente scontato. Un altro breve rallentamento permette un’incendio nerissimo e profondo, che si trascina, con l’aggiunta di molti dettagli qui e là ad arricchire una parte altrimenti ripetitiva, fino alla conclusione. Personalmente, brano perfetto in ogni sua parte e un ascolto imperdibile. 

Of Dementia” comincia subito in quinta, con reminiscenze di un certo norwegian black metal dei tempi d’oro. Interessante l’aggiunta di cori quasi rituali in sottofondo, che inevitabilmente fanno venire in mente i Batushka (quando erano ancora una band sola e non due). Segue un’altra parte ritmata da headbang assicurato, lenta e pesante. A metà brano, si rallenta per dare spazio ad una sferzata di gelidissima violenza. Nella lunga parte rallentata, ritorna anche il coro menzionato poche righe fa, a ridosso dell’estesa conclusione. 

Si raggiunge la metà album con “Lost Carcosa”, con un’introduzione che alla sottoscritta fa venire in mente i Vektor; si passa quindi alle maniere forti lasciano parlare il post-black. Il brano procede in mid-tempo, pesante e inquietante, frammezzata da fiammate nere. La canzone s’interrompe per un secondo, prima di passare ad un ritmo sostenuto e incedente, che dà l’illusione di accelerare e decelerare ad ogni cambio di frase. Dopo un ulteriore momento di black puro, si abbandona il blastbeat mantenendo però tutta la rabbia caratteristica. Si cambia ancora, rallentando sempre di più, quasi con l’impressione di star scivolando in basso. Splendida e inaspettata la conclusione, con la leggiadra voce delle chitarre acustiche. Un altro ottimo brano. 

La corona della canzone più lunga dell’album se l’aggiudica “A Thousand Young”, con i suoi quasi dodici minuti. All’inizio è quasi atmospheric, aiutata anche dal ritorno del coro di qualche canzone fa, facendosi sempre più forte, ma inaspettatamente si spegne, lasciando spazio ad un’acidissima chitarra elettrica e quindi al post-black, che però procede sostenuto e grave. Si riprende forza e velocità, sviluppandosi in una lunga sezione forse un pochino ripetitiva. Dopo il ritorno ad un ritmo sostenuto, c’è spazio anche per dei brevi assoli di chitarra. Superata la metà brano, il brano s’interrompe brevemente per far parlare una chitarra solitaria, passando ad una sezione che rischia quasi di suonare doom, complice una batteria lentissima e pesante. L’atmosfera si fa sempre più cupa e pesante, anche grazie ad una certa ripetitività; questo lungo intermezzo infatti accompagna il brano fino alla sua conclusione. 

Dreams Of The Nuclear Chaos” comincia senza fronzoli, a parte un piccolo passaggio di batteria, offrendo un incendio dei più feroci e neri. Ritornano quelle reminiscenze di un bel black metal norvegese indimenticato; nel frattempo ci si destreggia fra vari rallentamenti e acceleramenti. La parte centrale è molto interessante, una via di mezzo fra black metal e varie influenze di altri generi, purtroppo molto difficile da descrivere e mettere a parole. Il blast in mid-tempo è arricchito da cori e tappeti di tastiere, interrompendosi per un lungo attimo di chitarre solitarie e riprendendo con la furia dell’inizio brano. Un’altra piccola gemma, da ascoltare con molta attenzione.

La conclusione è affidata a “Nyarlathotep”, maestosa e inquietante; intercede con la pesantezza di un macigno. Molteplici sono i dettagli che la rendono una canzone di piacevole ascolto, che si rivelano man mano che il brano prosegue. A metà brano finalmente ci si incattivisce, con chitarre acidissime e gravi. Viene permesso anche al basso di far sentire la sua voce in una sezione assolutamente spaventosa. C’è spazio anche per un altro assolo, suggestivo e particolarmente carino. La conclusione viene affidata al caos totale, surgelando quindi un viaggio macabro e di non ritorno. 

“Cosmicism” è davvero un buon album, assolutamente il migliore della discografia dei The Great Old Ones, seppure l’impressione sia che i cambiamenti siano minimi. Si salva varie volte da una ripetitività altrimenti letale anche grazie a delle vere sferzate di nero totale, che sono sicura verrà apprezzato da tutti gli amanti del genere. Merita davvero un ascolto, anche se solo per vedere con  i propri occhi i mostri più spaventosi…

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