Sinceramente lo Stoner mi ha sempre affascinato, sin da quando ancora non lo ascoltavo e lo sentivo solo di rado in certe canzoni passate da amici a scuola o tramite le famose compilation metal miste che si facevano per passare il tempo ed essere il più figo di tutti. Oggi vogliamo parlare di una band italiana che viene direttamente dalla Sardegna, stiamo parlando dei BLACKTONES. Una band giovane formata nel marzo dei 2011 da Sergio Boi e Gianni Farci principalmente come un gruppo interamente strumentale ma, dopo alcuni concerti e un cambio di line up con l’ingresso di Maurizio Mura (Elepharmers) alla batteria e Simone Utzeri alla voce, evoluto prendendo una piega totalmente diversa orientandosi su un genere più completo e concreto. Dopo vari mesi e live più o meno importanti (supporto ai Necrodeath e ai Doomriser al Doom Over Karalis), nel giugno del 2012 hanno pubblicato il primo EP “Distorted Reality”. Dopo due anni Simone Utzeri abbandona la band ed entra Aaron Tolu (Shardana, Nur) completando la line up e iniziando subito la produzione del loro secondo lavoro registrato e mixato presso il V-Studio di Villy Cocco, e masterizzato da Brad Boatright presso gli Audio Seige Studio di Portland. Ed è proprio questo il disco che andiamo ad ascoltare ed a recensire.
La copertina del disco omonimo si presenta semplice e diretta, senza fronzoli. Un ragazza di schiena con un mantello nero e indossato, come uno zainetto, un teschio di bufalo, tutto rigorosamente in bianco e nero. Il bianco e nero dà sempre un tono di tristezza, solitudine e di grezzosità che serve ad inquadrare il genere suonato dal gruppo. Ascoltando la canzoni danno molto questa impressione: il sound è ricco, grosso e potente e l’uso di amplificatori dedicati a questo genere rende il tutto molto crudo ma con impatto sonoro notevole. Il suono del basso esce prepotente ma mai invadente, ma talmente ricco di distorsioni e medie frequenze da farsi sentire direttamente nello stomaco.
Lo stile dei BLACKTONES è influenzato dall’ondata Metal/Stoner/Grunge degli anni 90 in poi. Hanno un suono molto cupo e le melodie trasudano malinconia lasciando spazio a riff graffianti. Ricordano in certi momenti gli Alice in Chains e gli A Pale Horse Named Death, ma nelle armonizzazioni vocali tornano alla mente anche i Nevermore. Hanno comunque uno stile vario per via di questa voce sia pulita che graffiante, portando a volte il gruppo verso sterzate ricche di Groove, sia a livello ritmico che a livello vocale. Le canzoni non sono mai esageratamente lunghe, come si penserebbe approcciandosi ad un gruppo Stoner/Doom: infatti il secondo è poco accentuato e la voce conferisce una struttura più complessa e dura. Nel complesso, le canzoni sono tutte abbastanza scorrevoli anche se in alcune manca quel nonsochè alla voce per renderle più orecchiabili e ricordarle meglio. Può darsi che il gruppo abbia voluto dare quella nota violenta per trascinare l’ascoltatore solo a livello strumentale ma non a livello vocale, anche se continua non convincermi tanto. L’intro è composto molto bene e si lascia ascoltare trascinandoti senza problemi alla prima canzone. Però quelle che mi hanno compito di più sono “Something About You” con il suo intro di basso impressionante e “I’m Not Here…” con la sua carica groove metal che fa scuotere la testa a chiunque. Si conclude con “For You” e la sua strofa pulita, che ricorda addirittura certi gruppi più inclini al Funeral Doom, con la loro voce soffocata e la chitarra pulita tutta effettata.
Abbiamo quindi un ottimo album, con ottime idee, ricco di sfumature che ad un primo ascolto non si rivelano subito, ma che ascoltandolo una seconda o terza volta si possono intuire per bene. Si tratta di un album da ascoltare se si è appassionati di Stoner Metal anche se le linee vocali, in certe canzoni, hanno un tono un po’ fiacco, che non fanno uscire tutto il potenziale della band. Hanno però un grande impatto sonoro lasciando l’ascoltatore senza respiro e abbastanza sconvolto.
https://www.youtube.com/watch?v=hzAWCjiYz_o