Per gli amanti del thrash metal teutonico, il prossimo 2 giugno è una data da ricordare, in quanto segna il ritorno dei Tankard, che rilasceranno il seguito di “R.I.B.”, pubblicato nel giugno del 2014, intitolato “One Foot In The Grave”, che rappresenta inoltre, il trentacinquesimo anniversario dalla fondazione della band.
Il gruppo tedesco si è inizialmente formato nel 1982, e dopo un paio di cambi di nome, si ritrova attualmente con sedici album, un diciasettesimo in uscita e pietre miliari del genere, quali “Chemical Invasion”, “Zombie Attack” e “The Beauty and the Beer”.
I quattro, che definiscono il loro genere “alcoholic metal” visti i testi basati principalmente sull’alcol e sulla birra, possono vantare una formazione stabile dal 1998, che presenta Andreas Fritz Johannes Geremia (o “Gerre”) alla voce, Frank Thorwarth al basso, Andy Gutjahr alla chitarra e Olaf Zissel alla batteria.
La copertina presenta il ritorno del Tankard-Alien, assente da “Beast of Bourbon” (2004) negli artwork del gruppo, e dimostra lo spirito goliardico classico della band.
Il disco inizia con “Pay To Pray”, la quale sfocia progressivamente in una traccia che travolge subito l’ascoltatore con ritmi veloci, e ritornelli facili da memorizzare ed efficaci, presenti anche nella seguente “Arena Of The True Lies”.
I due pezzi seguenti, “Don’t Bullshit Us!” e l’omonima del disco, sono tra le composizioni più aggressive dell’elaborato; seconde solo a “Syrian Nightmare”, quinto brano che delizia con quattro minuti e mezzo potenti e letali, che travolgono con ondate di note, senza lasciare un secondo di pace.
La seconda metà del disco continua nella strada intrapresa dalle prime cinque composizioni, rimanendo aggressiva e prepotente, senza far scemare l’attenzione nei confronti della produzione.
“Northern Crown (Lament Of The Undead King)” parte con ritmi tranquilli per poi tramutarsi in un pezzo dalle andature epiche, inusuali ma ben pensate, e viene seguito da “Lock’Em Up!” e “The Evil That Men Display”, duetto di tracce devastanti nel classico stile Tankard.
“Secret Order 1516” si presenta come il brano più lungo del lotto e riprende in parte le andature epiche appena citate, venendo seguita da “Sole Grinder”, degno epilogo dell’album che si conclude con un minuto di silenzio improvviso, seguito da un coro da stadio, intonato dai quattro tedeschi, per accentuare la loro tipica spensieratezza.
Finisce così, con un finale simpatico e naturale, la diciasettesima fatica dei Tankard, i quali dimostrano per un’altra volta di saperci sorprendere e rinfacciano le loro capacità, continuando a fare il loro classico thrash metal diretto, veloce e senza troppe complicazioni che pur non offrendo nulla di innovativo, dopo trentacinque anni rimane convincente.
TANKARD – One Foot In The Grave
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