I Sur Austru nascono dalle ceneri dei Negura Bunget, band black metal transilvana scioltasi con la morte del batterista Negru a causa di un attacco cardiaco. I membri originari, sotto altro moniker e con l’album di debutto “Meteahna Timpurilor”, riprendono esattamente da dove avevano lasciato, proponendo un black metal meravigliosamente intriso di un folk atmosferico capace davvero delle migliori sensazioni ed emozioni. Nello svolgersi dei brani però c’è dello spazio per delle sfumature che probabilmente potrebbero sorprendere, rendendo il lavoro interessante e di ascolto veramente gradito. L’uso di alcuni strumenti musicali tipici della Romania accompagnano perfettamente i testi che narrano (ovviamente in lingua madre) non solo di storie e leggende transilvane, ma anche della natura ormai morente e delle fatiche che si stanno compiendo per tornare sulla retta via, per riportarla allo splendore di un tempo.
Ascoltando questo disco non può passare inosservata la produzione praticamente cristallina, che corona quello che è in effetti un viaggio mistico nelle terre d’origine dei Nostri. Degno di lode in tutto l’album è lo splendido lavoro di batteria ad opera di Sergiu Nadaban: fategli davvero attenzione durante l’ascolto. Inoltre, cori appena ritualistici e maestosi, un growl quasi demoniaco e particolare che accompagna un cantato pulito profondo ma delicato e una voce narrante inquietante e dolce; questi sono solo gli aspetti generali di un lavoro davvero ottimo che analizzeremo ora nel dettaglio.
“De Dincolo De Munte” presenta subito tutto quello che troviamo in seguito: un brano dal sapore estremamente folkloristico dove fanno foggia di sé in particolare i strumenti a fiato, questo fino a dopo la metà brano, quando l’atmosfera si tinge di colori oscuri e minacciosi. In questa sezione è la batteria ad essere protagonista, diventando man mano sempre più urgente fino ad interrompersi, riportando il brano a com’era iniziato.
Sembra assumere tinte doom “Puhoaielor”, aiutata anche da inframmezzi in cui la voce pulita è piena di disperazione; un black metal in mid-tempo padroneggia la maggior parte del brano. L’atmosfera diventa man mano sempre più ansiosa e spaventosa, specialmente in un momento quasi ritualistico e minaccioso. Nel finale il black diventa finalmente più intenso, interrompendosi d’un tratto. Personalmente una delle più belle dell’album.
“Mistuind” assume toni tristi e intercede con lentezza e pesantezza. Qui la parentesi doom sembra decisamente più evidente; le chitarre sfumano il tutto con un pochino di epic a creare un effetto molto particolare. Sembra quasi di ascoltare un lamento funebre, anche grazie alle note dolciamare del flauto. Le chitarre riprendono del vigore e con esso il brano, che sembra appena risollevarsi sulle note ipnotiche e concentriche della chitarra solista, illusione che dura per un breve attimo prima della conclusione.
Maestosa grazie a dei cori campionati, “Bradul Cerbului” comincia con dei colori vagamente orientali, prima di virare verso tinte minacciose e poi prettamente black metal. Momenti ritualistici ed esplosivi si danno il cambio, lasciando però la prevalenza alla rabbia e alla violenza. Un brano ripetitivo ma non noioso, addirittura ipnotico per certi versi, assolutamente splendido.
La bellissima “Jale” può essere praticamente considerata una strumentale, con un coro campionato pieno di tristezza e maestosità ad un tempo, che accompagna il brano dalla sua genesi fino alla conclusione. Si libra su delle bellissime note di flauto, anche queste vagamente orientaleggianti; si sposta poi su una voce pulita che però non canta parole, ma un sentimento: sembra essere il dolore, quasi rassegnato e tinto di una strana dolcezza.
“Dor Austru” è la più lunga dell’album con i suoi undici minuti, e riprende l’atmosfera che si era respirata fino ad ora nell’introduzione, staccando quasi completamente con l’arrivo della voce in growl. Interessante l’intermezzo che riappare più volte nella canzone dove la voce diventa quasi tribale mentre accompagna una chitarra ripetitiva e quasi inquietante. Verso la metà brano diventa più calma, disegnando un’atmosfera soave e leggiadra, seppur inframmezzandosi con la rabbia primordiale dei Sur Austru. Il lungo finale è assolutamente atmosferico, delicato e dalle tinte epic, che lascia spazio ad un lontano suono in sottofondo che sembra quasi il battito del cuore. Si riprende su colori più speranzosi e dolci, questo sempre grazie ad un bellissimo flauto.
“In Timp Vernal” comincia invece aggressiva fin da subito, dedita ad un black metal atmosferico che si tinge di nuovo di momenti prettamente doom, non prima di aver acceso però un vorace incendio nero. L’ipnotica parte centrale sembra quasi frutto di una visione oscura, dove anche il flauto può fare poco per addolcire l’atmosfera. Una parte molto più dolce e inaspettata stravolge l’ascolto, che riassume però poi le stesse connotazioni iniziali. Il finale è dedicato ad un black quasi esplosivo, che si interrompe d’un tratto. Altra splendida gemma dell’album.
La conclusiva “Jabracie”, forse la canzone meno ispirata, è quasi visionaria nell’introduzione, dove viene fatto parlare il flauto assieme a dei roboanti basso e batteria. Il gelido black in mid-tempo che ne segue lascia spazio ad una parte cadenzata e minacciosa. Diversi tipi di rabbia si sfidano nello svolgimento, quello più calmo e quello più esplosivo. Non c’è molto altro d’aggiungere a quanto già descritto, forse un piccolo scivolone ma che tutto sommato si può perdonare.
“Meteahna Timpurilor” è veramente un lavoro splendido, che sottolinea non solo la grandezza della band che è stata, ma anche quanto sia ancora in grado di fare dopo la sua metamorfosi. Ovviamente è assolutamente consigliato a chi era già fan dei Negura Bunget (anche se forse farà storcere qualche naso), ma specialmente a chi ama il black metal intriso di un’atmosfera cangiante e folkloristica, che non ha paura di tentare qualche piccolo azzardo qui e là.