Negli ultimi mesi i Suicide Silence sono riusciti a far parlare moltissimo di sè, il motivo è legato al nuovo omonimo album della band, dove si assiste a una svolta radicale. Il gruppo americano infatti ha sempre suonato deathcore cambiando poco o nulla del proprio sound nel corso degli anni, ma con questo nuovo disco i nostri hanno deciso di virare verso un misto tra alternative e nu metal. I fan hanno reagito in modo esagerato aprendo addirituttura una petizione per vietare la pubblicazione del disco. Questo album che tanto è stato criticato prima dell’uscita, senza essere nemmeno stato ascoltato, probabilmente sarà l’ultimo esperimento dei Suicide Silence e su questo si potrebbe aprire una parentesi enorme, tuttavia è meglio sorvolare e parlare di musica: com’è questo “Suicide Silence” dunque?
Il disco si apre con “Doris” e “Silence“, i due brani già conosciuti dai più: il primo è uno dei pezzi più violenti dell’album e cresce con gli ascolti, mentre il secondo è un brano crudo e malinconico molto più immediato del precedente. Uno dei brani più interessanti di questa nuova fatica della band americana è senza dubbio “Dying In A Red Room“, pezzo dove le influenze dei Deftones emergono prepotentemente, anche se ovviamente Hermida non può essere paragonato a Chino Moreno. Il pezzo è comunque tutto in clean e crea un’atmosfera malinconica e intima che permette al brano di scorrere rapidamente nonostante duri quasi cinque minuti. I pezzi più tradizionali non mancano, basti pensare a “Hold Me Up Hold Me Down” o a “Don’t Be Careful You Might Hurt Yourself” ma, a detta di chi scrive, questi ultimi sono anche i più noiosi e meno ispirati. È palese come la band abbia voluto concentrarsi sullo sperimantare e abbia inserito questi brani per dare il contentino ai fan: basti pensare al primo dei due brani e ai suoi infiniti breakdown. Tornando ai punti forti del disco bisogna senza dubbio parlare di “Conformity“, una semi ballad molto evocativa e atmosferica che ricorda “Snuff” degli Slipknot e che si rivela uno degli apici del disco.
Tirando le somme bisogna dire che questo “Suicide Silence” non è un brutto disco, ma non è nemmeno un lavoro perfetto poiché, se è vero che i brani meno classici si rivelano i migliori, è altrettanto vero che non tutti sono perfettamente riusciti; un esempio è l’anonima “The Zero“, che non è nè carne nè pesce. Questo disco si rivela comunque estremamente sincero e crudo nei suoi momenti più aggressivi e ciò è merito di Hermida. Allo stesso tempo riesce ad essere anche molto atmosferico e cupo nei suoi momenti più riflessivi. Se i Suicide Silence decideranno di proseguire su questa strada probabilmente perderanno buona parte della loro fanbase originale, ma è possibile che se ne formi un’altra più aperta dal punto di vista mentale. Il consiglio per i fan è di ascoltare il disco senza pregiudizi provando a capirlo, mentre per i nostalgici del nu metal di Korn e Deftones qui si va sul sicuro. Il disco può essere apprezzato anche da chi non ha mai seguito la band per via del genere proposto in precedenza poiché, nel bene o nel male, questo omonimo album si rivela una prova di coraggio e di maturità della band americana. “Suicide Silence” comunque sarà un disco che farà parlare molto: ci sarà chi lo osannerà e chi lo distruggerà, ma la verità sta nel mezzo.