Avete presente quando da bambini aspettavate l’arrivo del Natale per mesi, sapendo che “Babbo Natale” vi avrebbe portato quel regalo che da tanto bramavate, ma quando finalmente arriva il 25 dicembre e aprite avidamente il pacco scoprite che dentro non c’è quello che speravate, bensì un delizioso maglione a righe, rigorosamente di lana e rigorosamente di quelli che fanno venire il prurito solo a guardarli? Ecco, quella sensazione di delusione, di amarezza, è esattamente ciò che ho provato nell’ascoltare il nuovo lavoro degli Stratovarius: “Enigma – Intermission II“.
Chiariamoci, “Enigma” non è un brutto album, non è paragonabile a quel maledetto maglione a righe; ciononostante, da accanito fan di Kotipelto e soci mi aspettavo di più. Ho amato gli Stratovarius dei vari “Fourth Dimension”, “Episode” , “Vision” e “Destiny” allo stesso modo dei due “Elements”, fino ai più recenti “Nemesis” ed “Eternal”. Certo, i primi e gli ultimi che ho citato si potrebbero quasi catalogare come generi totalmente diversi, basti ascoltare ad esempio “Black Diamond” e “Halcyon Days” per rendersene conto. Ma proprio perché odio catalogare la musica non mi sono mai nemmeno posto l’annoso dilemma “Erano meglio con Tolkki? Fanno ancora Power Metal?” Ho sempre apprezzato i loro lavori, seppur diversi tra loro e seppur in modi diversi.
In questo caso, però, ho qualche dubbio in più. Sicuramente esagerando, ma la prima volta che ho sentito l’album il mio pensiero è stato “Si chiama ‘Enigma’ perché è un mistero il motivo per cui l’hanno fatto uscire“. Con gli ascolti, vi assicuro davvero tanti, oltre la media per una recensione, le cose sono un pochino migliorate, ma non al punto tale da farmi amare questo lavoro come i precedenti.
Facciamo un passo indietro: questo “Enigma” non è un album di inediti, ne contiene infatti solo tre, intervallati da nove tracce mai pubblicate (“rare” o “bonus track” di album passati) e, per concludere, quattro canzoni di precedenti album in versione orchestrale. Gli inediti sono “Enigma“, “Burn Me Down” e il primo singolo “Oblivion“. Per l’amor di Odino, non sono scarti né canzoni da buttare, avrebbero potuto benissimo far parte di un album di inediti, però non sono nemmeno canzoni destinate a rimanere nella memoria e nella storia della band: come singoli, e come unici tre singoli, mi aspettavo di più. E per le “rare track” il discorso è pressoché simile, sono apprezzabili, qualcuna più di altre, penso ad “Hunter” ad esempio, ma probabilmente se sono tracce scartate e mai scelte nei vari album degli ultimi decenni, forse un motivo c’è. L’unico sussulto me l’ha dato “Castaway” che, al primo ascolto senza far caso ai nomi, mi pareva una versione leggermente modificata ma nemmeno troppo della celeberrima “Black Diamond“. E invece no.
Quello che però mi ha deluso più di tutto è la parte finale dell’album, le quattro canzoni definite “Orchestral Version”, ossia “Fantasy“, “Shine in the Dark“, “Unbreakable” e “Winter Skies“. Probabilmente alcuni recenti lavori con annessa orchestra sono stati talmente grandiosi che l’asticella delle mie aspettative era diventata altissima (penso agli ultimi degli Epica e l’ultimo dei MaYaN, ad esempio). Invece queste versioni sono molto scialbe: non danno quel senso di maestosità, di epicità, tipica della simbiosi Metal ed orchestra. Sono invece delle versioni semi-acustiche piuttosto lente. Personalmente, quando ho sentito “Fantasy“, non pensavo ad una grandiosa orchestra impegnata a registrarla, quanto ad un hippie con la camicia a fiori in spiaggia che, chitarra alla mano, abbozza questo pezzo. Forse, non le avessero presentate come orchestrali, le avrei apprezzate, ma mi pare difficile. Sono pezzi di cui avrei fatto volentieri a meno.
Avete presente quando un vostro amico vi dice che vuole presentarvi una ragazza e voi gli chiedete “sì ok, è una brava ragazza, ma è carina?” e lui vi risponde “Beh, è simpatica…“, ecco, stessa cosa questo “Enigma”. Non è un brutto album, è molto curato, qualitativamente ottimo, ma più che bello lo definirei “simpatico”.