Ritornano i Sojourner a due anni da “The Shadowed Road” con il terzo album, “Premonitions“. Si tratta di un progetto internazionale nato nel 2015 dal polistrumentista neozelandese Mike Lamb dei Lysithea assieme al cantante americano Emilio Crespo (ex Nangilima, ex Historian) e la britannica Chloe Bray (ex Into Avernus, ex A Heartbeat Behind) al flauto e voce, e in seguito anche alla chitarra. In seguito si sono uniti anche Mike Wilson al basso, sempre dai Lysithea, il nostrano Riccardo Floridia (Atlas Pain) alla batteria e lo scozzese Scotty Lodge, anche lui al basso (fa parte della formazione ufficiale, ma suona solo dal vivo). Il debutto è avvenuto con “Empire of Ash” nel 2016, che ha riscosso un buon successo e due anni dopo anche il secondo album è stato accolto molto positivamente dalla critica. Probabilmente è dato dal fatto che si tratta di un genere interessante, che unisce black metal, con ritmi pestati di batteria, riff spesso in tremolo delle chitarre e una voce maschile gracchiante; al melodic e all’epic con tanto di effetti e strumenti quali flauti e tastiere e una voce femminile in pulito. Il disco non si nega né nelle parti lente né in quelle veloci. In generale l’album è composto complessivamente da 8 canzoni con una durata variabile dai 4 minuti e mezzo agli 8 e mezzo per una durata complessiva di circa 56 minuti.
Tra le canzoni rilevanti:
- “The Monolith“: primo pezzo dell’album. Se si vuole riassumere la band in una canzone, questa è una delle candidate: pesante nelle parti pesanti, leggera nelle parti leggere, con un’intro che rimanda agli album precedenti. Per la voce si ha un growl gutturale e un pulito suadente, le chitarre e il basso distorti si districano bene in ogni situazione, e le tastiere completano il quadro con effetti azzeccati. Un pezzo grintoso e melodico, nonché uno dei migliori.
- “Talas“: quarta canzone. Si tratta di un pezzo-intermezzo lento dell’album a metà tra folk, ambient, epic e alternative rock. Una particolarità è che c’è sorta di introduzione lenta di 3 minuti e mezzo su 4 e mezzo, con solo voce femminile, tastiere, flauto e un minimo di batteria, e poi l'”intermezzo” pestato dove si aggiunge il resto della band prima della conclusione.
- “The Event Horizon“: ottavo pezzo. A concludere c’è un pezzo di oltre 8 minuti dove la tastiera ha un margine piuttosto ampio, ma alla fine tutti danno prova della loro tecnica con riff orecchiabili e melodici, ma con parti pestate ridotte e concentrate nel finale. Un pezzo tutto sommato lento ma che indica molto bene la nuova direzione della band.
Rispetto agli album precedenti ci sono stati dei cambiamenti, per quanto si possa notare il tentativo della band di mantenere il proprio stile. In particolare salta all’orecchio la componente epic e melodica molto più marcata, e la voce femminile che si è ritagliata più spazio, passando da coro a comprimaria rispetto a quella gracchiante maschile. La prima mezz’ora di album è più grintosa rispetto al finale dove il tutto rallenta e tende a essere più melodico con riff articolati ed ampio uso di tastiere ed effetti esterni. I fan più appassionati al black metal potrebbero torcere il naso vedendo la nuova rotta, ma per tutti gli altri si tratta di un album godibile e piuttosto emotivo, ma meno pestato rispetto ai precedenti.